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Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Sarà un on the road

Nella solita desolazione extra-urbana di quel grande paese che si stende immenso, troppo immenso, fra le due popolose coste degli Stati Uniti, i “tre manifesti” del titolo italiano sono in realtà tre giganteschi cartelloni stradali, su una poco battuta provinciale che porta ad Ebbing, Missouri. Mildred, una donna indurita da una vita più dura di lei, paga per farli ricoprire di rossi manifesti su cui campeggiano in sequenza interrogativi e accuse nei confronti dello sceriffo della cittadina. Perché sette mesi indietro sua figlia adolescente è stata orrendamente ammazzata proprio là, sotto quei cartelloni, e sembra che all’inetta e razzista polizia locale non importi minimamente individuare il responsabile. Ma se cerchiamo giustizia, colpevoli rintracciati e puniti, pene inflitte e conseguenze pagate, questo non è il posto, non è la storia, non è il film. Qui a Ebbing, e per quanto riguarda i nostri personaggi, la vita colpisce duro e quando e dove meno te lo aspetti e ribellarsi può essere ancora più doloroso. Quella stessa vita porterà i percorsi dei protagonisti verso imprevedibili svolte, verso un “viaggio” indefinito, verso (forse) un posto migliore per tutti, qui o chissà dove, in uno di quei finali aperti che restano impressi nella memoria. Riuniti dalla violenza, spinti dalla violenza ad altra violenza, plateale o strisciante, i protagonisti agiranno ciascuno diversamente, ciascuno in modo inatteso, virando verso una destinazione sconosciuta anche a loro stessi. Perché è quella che conta, non il viaggio. Ambientazione, personaggi, situazioni già viste si dirà. Ma ad ogni passaggio, ambiente, personaggi e situazioni hanno costantemente come uno scarto laterale, sottraendosi allo scontato, con una digressione nel vuoto della solitudine che la natura (bellissima) di quei luoghi ispira, con il senso di abbandono da parte delle istituzioni, con la grettezza di quei piccoli centri urbani abitati da molti disadattati, con la vena di follia (buona o cattiva) che abita i protagonisti, con il beffardo gioco del destino che ha mosso le sue pedine con indifferente cattiveria. E questo ci viene narrato senza mai rinunciare a uno humor che si legge tutto negli sguardi oltre che nelle battute della splendida sceneggiatura scritta dallo stesso regista Martin McDonagh (In Bruges, 7 psicopatici). Inquadrature composte come quadri, musiche scelte con estrema attinenza per un film che vede impegnato un gruppo di interpreti eccelso, Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Peter Dinklage (e non sono i soli, non c’è un comprimario che non sia perfetto), nomi di culto e garanzia per un certo cinema, ma lontani dal mainstream, conferma che c’è tanta vita dietro i blockbuster sempre più costosi e dagli incassi mai bastanti, che spesso non lasciano nulla nel ricordo, per non parlare del cuore.
 
 

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