Loro 1
Intorno alla corte del Re
di Giuliana Molteni •
Chi sono i “they” (antichi echi horror) del nuovo, attesissimo film di Paolo Sorrentino, che esce in due puntate, il primo adesso, il prossimo distribuito dal 10 maggio? Sono il frutto perfetto del messaggio martellato dagli anni ’80, quella caterva di non-valori che sempre sono stati miraggio della parte peggiore dell’umanità ma che, grazie alla perfetta combo fra Berlusconi e l’edonismo reaganiano, sono divenuti modello di vita da esibire, da conseguire a ogni costo e scemo tu se non ci provi, tu fallito moralista che non ce la fai. E quindi sono, a scendere, ministri, uomini di potere vario, e giù servitori e faccendieri di ogni livello e ovviamente papponi e, a montagne, puttane. Perché il rapporto è sempre e a qualunque livello, squisitamente mercantile. C’è sempre chi può comprare e allora si mette in vendita. Tutto, dai corpi alle anime. È la famosa corte di nani e ballerine, messa in piedi per ingraziarsi il Monarca, che può, graziosamente, con un piccolo gesto, per lui roba da niente, risolvere esistenze intere. E il Monarca, sempre atteso, sempre nominato, fulcro del potere intorno al quale ruota il girone dei dannati che quel potere non ce l’hanno, arriva verso la fine, immalinconito dall’esilio forzato (siamo nel 2006 al momento della caduta del terzo governo Berlusconi e arriveremo fino al 2010, quando la crisi istituzionale si aggraverà, provocando l’anno successivo il subentro di Monti). Lo incontriamo nella sua clamorosa residenza sarda, Villa Certosa, quella di Putin, quella col vulcano e il giardino di cactus. Dove una scostante (perché offesa) Veronica (Elena Sofia Ricci) fa di tutto per rendere il soggiorno ancora più spiacevole. Da lontano pulsano le musiche della villa che il lenone Morra/Tarantini (uno Scamarcio di estrema, voluta volgarità) ha affittato, riempiendola di fanciulle disinibite e di droga per disinibirle ancora di più. Potrà l’uomo resistere letteralmente alle sirene di tanto spasso, perfettamente in linea con i suoi gusti? Al netto di alcuni suoi abituali vezzi, il film di Sorrentino è pop, chiassoso, rumoroso, volgare, gridato, porco, un baccanale pagano che schiuma intorno al suo centro di gravità che, quando entra in scena, sembra l’opposto, un’isola di classe, di serenità, di compostezza. Nel prossimo episodio vedremo come si evolverà, come Sorrentino farà evolvere questa vicenda, che afferma essere la narrazione di un archetipo dell’italianità, usata per “raccontare gli italiani”. Ma come saranno questi italiani per Sorrentino, il gelido ma vulnerabile intermediario che subisce le conseguenze dell’amore, o il quasi demoniaco Divo Giulio, come il blasée Jep, uomo del sottobosco di potere, o l’arricchito volgare che “si chiavasse” la cubista nella Grande bellezza? Per ora possiamo dire che personalmente non amiamo i film divisi in due parti e che di questa prima parte, che dura 104 minuti, qualcosa si poteva sforbiciare. Specie nelle lunghe sequenze della festa, che alla fine sono ripetitive, culi, tette, passere, droga, musica a palla, sniffate di coca e pioggia di pastiglie di MDMA, una versione soft porn della prima scena della Grande bellezza. Per ora insomma Berlusconi potrebbe solo lamentare che lui ha meno rughe di Servillo, perché la sceneggiatura non si accanisce più di tanto, anche se un po’ macchiettistico Sorvillo lo è, sotto la pesante truccatura da mascherone di Viareggio (non che la realtà sia molto lontana, in effetti). Nel resto dei personaggi che entrano in scena molti sono riconoscibili, di altri si può supporre, altri ancora sono forse un mix di più di uno. Bentivoglio è forse Bondi, la Smutniak ricorda Sabina Began, Giovanni Esposito è Apicella. Banale pensare che il film sia fatto per nuocere, per ostacolare il Cavaliere (come illusoriamente si poteva pensare ai tempi del Caimano di Moretti). Prima di tutto perché il suo elettorato medio (più ristretto) non guarda o ascolta nulla che vada contro il proprio idolo e poi perché non sono più quei tempi. Se l’intento è antropologico, c’è da riflettere: un tempo il potere era più discreto, i vizi e la corruzione esistevano (vecchi come l’essere umano) ma erano democristianamente tenuti in ombra, non erano così plateali, non ci invadevano così offensivamente le vite, non ci indisponevano tanto pur non essendo dei moralisti, non ci facevano sentire così “noi” contro “loro”. Essere portati per mano sempre più vicino, in ambienti ancora peggiori di quello della Grande bellezza ha senso o è un’ossessione di Sorrentino, che non si capacita di come siamo andati a finire? O forse un po’ si compiace nel raccontare quei baccanali, quelle nudità, quelle sniffate rumorose, quelle scopate da bordello, quel viscidume diffuso, quella volgarità aggressiva, quella ricchezza da cafoni arricchiti anche se ci si atteggia a gran signori, anche nei salotti “bene”, quello strisciante ossequio nei confronti del potere, che anche tanto ci appartiene. Chi lo sa. Quindi per il giudizio aspettiamo il secondo film, per capire il discorso nella sua interezza. Altrimenti è come giudicare una serie tv dopo il primo episodio.
Giudizio rimandato