Molly’s Game
The Player
di Giuliana Molteni •
A che gioco gioca Molly Bloom, ex promessa dello sci mondiale, stoppata da un incidente nel 2004 e avviata poi ad avveduti studi di giurisprudenza ad Harvard? Facoltà che le darà una marcia in più quando decide di lanciarsi in un’attività che le costa però l’amore del suo severo padre (Costner). Dopo qualche anno da cameriera a Los Angeles, Molly inizia a fare da intermediaria fra clienti facoltosissimi e un organizzatore di partite di poker. Delusa dal suo comportamento e ormai in possesso del necessario know-how si mette in proprio, polverizzando la concorrenza. Ai suoi costosissimi tavoli siedono la crème dell’ambiente di finanza, sport e spettacolo e (a sua insaputa, chissà) anche esponenti della mafia russa. Vincendo i pregiudizi (anche in quel giro, non si scappa) legati al fatto di essere donna, diventa un punto di riferimento mondano, è bella, ricchissima, indipendente. Cosa può andare storto? Molte cose, a cominciare dall’interessamento dell’FBI che la accusa di riciclaggio, le congela tutto il patrimonio per costringerla a fare i nomi dei suoi prestigiosi clienti. Accanimento a livelli altissimi perché sostanzialmente Molly è un pesce piccolo, è donna, è sola. Senza coperture potenti. Messa alle corde, si rivolge a un noto avvocato, che però ha di lei l’immagine che ne hanno dato i media e non la prende in simpatia. Molly invece è quell’immagine ma anche altro. Per capirlo si deve comprendere perché aveva deciso di giocare tanti anni prima. Nel personaggio evidentemente ci ha creduto anche Aaron Sorkin che ha scritto e diretto il film, a partire dal libro autobiografico scritto da Molly nel 2014, un anno dopo il suo arresto,intitolato “Molly's Game: The True Story of the 26-Year-Old Woman Behind the Most Exclusive, High-Stakes Underground Poker Game in the World”. Sorkin con questo film debutta alla regia e racconta con il suo solito stile vertiginoso, fra dialoghi e montaggio, una lunga storia (il film dura 140 minuti) per approfondire un personaggio degno di nota ma, sembrerebbe, non tanto da passare alla storia. Perché indirizzare allora le sue energie nei confronti di questo soggetto? Perché è uno dei personaggi che tanto gli piacciono, nel contesto di quell’America del self made man (o woman) che lotta, vince, cade, si rialza, viene abbattuta e si rialza ancora. Gente che perde però se stessa nella scalata al successo, incapace di equilibrare una sana voglia di successo con una vita affettiva, sociale normale. Ma forse non è possibile e certe menti hanno una percentuale di autismo che impedisce legami profondi. Molly infatti viene presentata come un personaggio che mantiene ferree distanze sia con i compagni di avventura che proprio con gli spettatori, dentro e fuori dallo schermo, avvicinandosi alla protagonista di un altro recente film con la Chastain, Miss Sloane, in cui era una glaciale lobbista. Del resto è illusoria l’impressione di riuscire a sfruttare astutamente un sistema dall’esterno, si sfiorare sempre il limite dell’illegalità restando immacolati. Questo è concesso a pochi purché potenti, assai potenti, l’uomo o la donna comune devono aspettarsi intoppi, se la scalata al successo è troppo disinvolta. E clamorosa. Perché per la Legge è più facile accanirsi sull’anello debole della catena di “disinvolture”. Sempre consigliamo la visione dei film in lingua originale con i sottotitoli ma questa pratica virtuosa è dura da applicare nei film di Sorkin, vista la quantità di lunghi e velocissimi scambi di battute.
interessante
7