È stata appena annunciata la lista ufficiale dei nomi che faranno parte della giuria della 66a Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia. Se cambiano le persone, rimangono invece intatti rispetto all'anno scorso i singoli "ruoli" da ricoprire, dall'ormai onnipresente esponente del cinema cino-giappo-coreano (Ang Lee, Presidente della Giuria), alla classica finestra su una cinematografia del mondo (quest'anno l'India, con uno dei suoi massimi esponenti, Anurag Kashyap), fino alle presenze sia di un regista americano un po' anticonformista (Joe Dante, che rimpiazza John Landis) che di un interprete di spicco (quest'anno tocca a Sandrine Bonnaire, attrice francese vincitrice nel 1995 della Coppa Volpi per Il buio nella mente di Chabrol e protagonista del Leone d'oro Senza tetto né legge di Agnès Varda del 1985).
Naturalmente non potevano mancare le presenze italiane e se da una parte non possiamo che dare il benvenuto ad un'artista del calibro di Liliana Cavani, dall'altro ci chiediamo il motivo della scelta di Luciano Ligabue. Vada che il panorama italiano non offre in questo momento personalità di spicco che non siano state già presenti alla mostra (d'altronde se Federico Moccia, Nicolas Vaporidis e Laura Chiatti fanno la giuria di Qualità a San Remo non c'è poi da stupirsi) e vada anche che il film da regista del suddetto cantautore, ovvero Radiofreccia, è diventato un cult e ha vinto anche tre David di Donatello e due Nastri d'Argento (ma già molto meno fortunato sotto ogni punto di vista è stato il successivo Da Zero a Dieci).
Ci chiediamo però soprattutto quale possa essere il contributo che l'artista può dare in più rispetto a qualsiasi altro appassionato della settima arte o a qualsiasi altro artista che abbia voluto cimentarsi con il mezzo cinematografico. Diciamolo subito, il discorso della sensibilità artistica che accomunerebbe musica, cinema, teatro, pittura, e chi più ne ha più ne metta, non vale e non funziona. Per una giuria di livello come vorrebe essere presumibilmente quella di Venezia ci vogliono (anzi, ci vorrebbero) competenze specifiche, e soprattutto approfondite, in materia. Insomma, dopo nomi altisonanti come quelli del montatore Pietro Scalia (2004), Dante Ferretti (Presidente nel 2005), Michele Placido (2006), Ferzan Ozpetek ed Emanuele Crialese (2007), già la scelta di Valeria Golino nel 2008 aveva fatto un po' storcere il naso, sebbene anche in quel caso fossimo davanti comunque ad un'artista dalla carriera invidiabile, intelligente e anche dal successo internazionale.
Insomma, la scelta di Ligabue sembra essere solo l'ultimo ritrovato delle tante stranezze che da anni affliggono il Festival e che gira e rigira sono sempre legate all'Italia (ricordate le reazioni di Wim Wenders e di molti altri al premio che sembrò quasi "dovuto" a Il papà di Giovanna? O quelle al premio creato apposta per Nuovomondo di Crialese, che si vide negato un annunciato Leone d'Oro? O ancora le critiche ormai "storiche" alla vittoria nel 2001 di Sandra Ceccarelli per Luce dei miei occhi su la Kidman di The Others, oggi ritenuta una delle migliori interpretazioni dell'attrice australiana?). Di nuovo ci scontriamo con una poca trasparenza dimostrata dalla kermesse e ad una poca cura riguardo la scelta dei nomi dei giurati, cui viene data sempre meno importanza, meno prestigio (a favore spesso del glamour) e meno potere (la spinosa questione dell'obbligo di non dare più di un premio importante ad un solo film e il fioccare di inediti premi speciali ogni anno ne sono un esempio evidente).
Dispiace dirlo, ma la scelta di Luciano Ligabue, cui ci inchiniamo come rocker, è l'ennesima dimostrazione della crisi di identità di un Festival che punta al nazional-popolare per nascondere agli occhi della massa italiana il sempre più netto calo di prestigio internazionale, rispetto soprattutto ad altri agguerriti diretti concorrenti come Cannes (tanto che di poco fa è la notizia che Londra ha soffiato proprio a Venezia il film Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson, con George Clooney). Speriamo che la scelta di Tornatore come film d'apertura non sia motivata dallo stesso obiettivo.