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Microtransazioni: un nuovo modo di vendere e intendere il videogioco

[del 14/12/2009] [di Lucio Bernesi]
Microtransazioni. Alcuni le definiscono il business del futuro, altri le snobbano rimanendo inchiodati al vecchio concetto di vendita “fisica” al negozio. Ma i giocatori, poi, cosa ne pensano? Qual è la loro attitudine verso questa forma di distribuzione tanto di contenuti, quanto di titoli completi?

Microtransazioni. Il mercato PC dei videogiochi viene spesso dipinto sul viale del tramonto o comunque affetto da una grossa crisi. La causa principale di questo disfacimento non è da ricercarsi in una convinzione più o meno fondata che vede il PC al capolinea come macchina da gioco, ma nel dilagare della pirateria che sta ormai affossando ogni tipo di vendita al dettaglio.

Microtransazioni. Eccolo il rimedio a questa situazione apparentemente irreversibile, sembra questa la via giusta per rivitalizzare un segmento di mercato in difficoltà, anche se la sua implementazione è ancora relativamente giovane – per lo meno in Occidente. Ci sono sicuramente esempi di microtransazioni all’interno di giochi single-player (come in Oblivion), ma è una pratica utilizzata maggiormente nel mondo online, soprattutto nei giochi multiplayer.

Questo modello di business prevede che il gioco venga fatto scaricare gratuitamente – proprio per combattere la pirateria – e poi vengono venduti upgrade a prezzi bassi. Ogni utente non spende l’intera somma prevista per un gioco acquistato al negozio, ma la somma totale dei guadagni può sorpassare quella che si otterrebbe da una vendita tradizionale, che dovrebbe fare i conti anche con la pirateria.

Le microtransazioni sono poi più trasparenti rispetto all’esborso sopportato per comprare un gioco pacchettizzato, visto che i videogiocatori possono valutare il loro acquisto, scegliere tra diverse possibilità e comparare le varie caratteristiche offerte da questo o quel contenuto scaricabile, mentre, seguendo il modello di vendita tradizionale, si finisce con l’acquistare a scatola chiusa.

Quello che andiamo a valutare in veste di videogiocatori è il rapporto utlità\prezzo. Naturalmente questa comparazione è legata indissolubilmente al titolo a cui si riferisce, per cui un asset virtuale che riteniamo ottimo per un gioco, potrebbe non valere per un altro.

Fortunatamente, spesso ci viene offerta la possibilità di prendere in affitto determinati beni e quindi possiamo capirne l’utilizzo effettivo, prima di procedere al loro acquisto definitivo. Certo, potremmo chiederci per quale ragione quella spada virtuale che abbiamo appena comprato, e che non ha una sua realtà fisica, abbia comunque un costo che dobbiamo sopportare e che va a migliorare i guadagni degli sviluppatori…

Un discorso a parte va fatto invece per quegli oggetti che hanno una durata nel tempo, ma che si rendono necessari ai fini del gioco. Pensiamo ad un classico GdR, nel quale i giocatori devono comprare i kit per riparare le loro armature e le armi.

Questo presuppone che il giocatore maturi un buon senso degli affari, perché il deterioramento degli oggetti è legato più alle sue responsabilità (come si approccia al gameplay) piuttosto che alle regole fissate dal gioco.

Un altro aspetto che può trarre in inganno è la compravendita di oggetti non effettivamente necessari, ma che comunque riteniamo esseri dei veri e propri affari. C’è da dire che il prezzo di queste microtransazioni è comunque sempre basso, ma un ulteriore ribasso strategico può spingere i giocatori più restii a lasciare i dati della loro carta di credito, a registrasi e a riempire il fatidico carrello, in quello che è a tutti gli effetti quasi un incentivo per futuri investimenti.

Ma ciò che spinge, più di ogni altra cosa, un videogiocatore ad effettuare una microtransazione è la convinzione che il denaro che sborserà gli consegnerà un gioco più longevo. Al di là infatti dell’oggettistica virtuale più o meno utile, sono i contenuti di un certo spessore a garantire un numero esagerato di download. E a tal proposito ci riferiamo a livelli aggiuntivi, missioni in più o addirittura inedite modalità di gioco. In questi casi la problematica dell’overdose da microtransazioni può diventare di attualità, ma è un rischio che si accolla totalmente il videogiocatore, anche se sporadicamente vengono messi dei tetti giornalieri di accumulo di “punti” da spendere, proprio per non creare situazioni pseudo paradossali…

Microtransazioni. Il futuro è loro, tra pro e contro, scetticismo e nuove frontiere del business, nella speranza che il primo parametro rispettato sia l’ottimizzazione del bilanciamento tra costi che l’utenza deve sopportare e il reale valore di ciò che viene offerto. Perché alla fine il rapporto-parametro utilità\prezzo tornerà comunque e inesorabile…

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[Chobeat[lev:1; v. p.:1; cash:350] postato il 23/12/2009 alle 1:03 [offline]

L'articolo parte da presupposti che mi sembrano abbastanza infondati. Che il PC gaming sia in crisi, mah possibile. Che la pirateria faccia male al PC Gaming in sè, non è verificabile e io personalmente non ci credo. Che le microtransazioni siano qui per salvare il PC Gaming invece mi sembra totalmente erroneo, nonostante io sia il primo a dire che le Microtransazioni siano un ottimo modello di business per entrambe le parti.

Innanzitutto ci sono i giochi ad abbonamento mensile e i giochi con un multiplayer o un supporto non crackabile che già da prima della diffusione delle microtransazioni, tenevano in piedi da soli buona parte del PC Gaming, neutralizzando la pirateria.

Le microtransazioni si sono affermate su un mercato nuovo, completamente staccato dal vecchio mercato che continua sulla sua strada. Son proprio le aziende ad essere diverse. A parte un pochino EA, Blizzard e Sony, non ci sono molte aziende anziane, nè piccole nè grandi, che abbiamo puntato in modo rilevante su prodotti a Microtransazioni.

Inoltre molte delle conclusioni e della assunzioni sulla psicologia dell'acquirente mi sembrano parecchio campate per aria. Solitamente non è il desiderio di longevità a spingere l'acquirente all'acquisto, quanto il desiderio di competizione o comunque le spinte derivanti dall'attività sociale.

Inoltre i "contenuti aggiuntivi" più tipici dei giochi Freemium sono ancora un mercato di estrema nicchia e fondamentalmente fallimentare per ora, vedasi D&D Online, Planet Calypso e pochi altri. Sì forse Free Realms sta andando bene e il modello di business magari è oltre il break-even, ma a parte lui son veramente pochi i giochi che vendono contenuti aggiuntivi con successo.


 

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