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Online a pagamento? Il mercato ci dice che potrebbe accadere.
Nella giornata di venerdì scorso hanno tenuto banco i report finanziari di Activision relativi alla chiusura del secondo semestre finanziario. Quello che ha destato la mia attenzione, da cui questo editoriale, non sono stati tanto i ricavi in calo (967 milioni di dollari contro gli 1,38 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno), quanto le loro aree di provenienza.
Il publisher, infatti, si è presentato sin dall'inizio di quest'anno con una line-up non all'altezza di una società che ambisca a mantenere la prima posizione nel mondo dei videogiochi, mettendo a scaffale tra aprile e giugno titoli quali Singularity, Blur, Transformers: War for Cybertron e Shrek Forever After. I primi due, tra l'altro, hanno reso ben al di sotto delle aspettative a dispetto di una critica favorevole.
E dunque, come ha fatto il colosso capitanato da Bobby Kotick a portarsi comunque a casa poco meno di 1 miliardo di dollari? Il merito, manco a dirlo, è di World of Warcraft e di Call of Duty. Se il primo non sorprende essendo un MMO ad abbonamento mensile, può stupire invece che lo shooter di Infinity Ward, uscito lo scorso novembre, sia ancora in grado di dire la sua. Merito questo non tanto delle vendite del gioco base quanto dei suoi DLC, ovvero lo Stimulus Package e il pacchetto Rinascita.
Di questi contenuti scaricabili abbiamo parlato approfonditamente nelle nostre recensioni su Eurogamer.it, e si tratta in sostanza di pacchetti contenenti poche mappe, alcune delle quali riprese dal passato e tirate a lucido per l'occasione, vendute a un prezzo ben poco conveniente.
Eppure, come ha sottolineato parlando agli investitori il Chief Financial Officer di Activision, Thomas Tippl, questi due map pack hanno generato un flusso economico sufficiente a competere coi primi cinque giochi più venduti in Inghilterra e negli Stati Uniti. Un'enormità, pensando al rapporto resa/investimento.
I due DLC hanno infatti venduto insieme 5 milioni di copie soltanto durante l'ultimo trimestre. Ancora più sbalorditiva, a ben guardare, l'aggiunta sempre dello stesso Tippl: "se prendete il report delle vendite di Modern Warfare 2 e quelle dei map pack nella prima metà dell'anno, vedrete che questi hanno generato un profitto maggiore del titolo più venduto del 2010". Una situazione, questa, che solo fino a pochi anni fa sarebbe apparsa fantascientifica.
Sia chiaro comunque che non è solo Activision Blizzard a portare a casa risultati iperbolici dal punto di vista dell'online: Electronic Arts ha infatti affermato che la sua base di videogiocatori online è quasi raddoppiata nello scorso anno, passando da 33 milioni a 60 milioni di giocatori registrati, trainati da titoli quali Battlefield: Bad Company 2 e FIFA.
John Schappert, Chief Operating Officer di Electronic Arts, in una recente dichiarazione agli investitori ha così dichiarato: "I consumatori stanno rispondendo bene all'offerta di contenuti digitali. I pacchetti aggiuntivi per FIFA Ultimate Team 2, Dragon Age e Mass Effect 2 vanno molto forte."
Insomma, se una volta il ciclo vitale di un prodotto era racchiuso essenzialmente nelle sue prime settimane di vita, salvo poi imboccare rapidamente il viale del tramonto non appena uscito dallo scaffale, ora la vita di buona parte dei tripla A è stata prolungata a dismisura grazie all'introduzione di contenuti scaricabili, spesso a pagamento, raramente gratuiti.
A cosa si deve questo cambiamento? Da un lato alla lungimiranza dei publisher, che hanno capito che il limone (ossia il videogiocatore) è spremibile ben più di quanto non si credesse una volta, arrivando in alcuni casi a fargli spendere anche più di 100 euro per un singolo titolo, a patto di dilazionare l'esborso nell'arco di un anno.
Dall'altro, però, ciò non sarebbe possibile se non fossero cambiate radicalmente le attitudini dei giocatori. Là dove una volta il multiplayer era un orpello dell'esperienza single player, ora è sempre più frequentemente il piatto forte, con la campagna in singolo che diventa un tutorial allungato per prepararci all'online.
Una conferma di questo mutamento ci deriva dai dati divulgati da Microsoft in occasione della recente presentazione milanese di Halo: Reach. Da quando esiste il Live, infatti, sono state più di 2 miliardi le ore giocate complessivamente dagli appassionati in multiplayer. Un dato mostruoso se si pensa che si tratta di un valore relativo a una sola piattaforma e non della sommatoria di Xbox 360, PS3 e PC, come invece lo sono le statistiche di buona parte degli shooter in circolazione.
Volendo comunque uscire dai dati dei singoli titoli e allargando l'analisi a un contesto più generico, possiamo consultare il recente studio di Nielsen sulle abitudini dei giocatori statunitensi. Questi spendono ormai il 10% del tempo trascorso online giocando ai videogame, per un totale di 407 milioni di ore al mese.
Perché questo lungo preambolo, mi domanderete? E soprattutto, cos'ha a che vedere tutto ciò col titolo dell'articolo? La risposta è presto detta, ed è paradossalmente una domanda: siamo sicuri che i publisher non stiano pensando a un modo per fare fruttare questi 407 milioni di ore spese online ogni mese e solo negli USA (mancano purtroppo statistiche a livello mondiale)?
La situazione infatti parrebbe al momento cristallizzata: l'utente compra il gioco base, aggiunge al tutto un paio di DLC e il publisher, soddisfatto e satollo, gli offre gratuitamente il multiplayer. A gettarci però nel dubbio è giunto più volte l'analista Michael Pachter: l'analista di Wedbush Morgan si è infatti sbilanciato, per ben due volte nelle ultime settimane, sostenendo che a breve potremmo assistere alla comparsa dell'online a pagamento, forse già anche con l'imminente Call of Duty: Black Ops.
Va detto che a queste supposizioni è seguita una ferma smentita da parte di Activision, ma il noto analista non ha indietreggiato e ha rincarato la dose offrendo un'analisi anche più dettagliata. Sebbene non abbia indicato direttamente come saranno strutturati i pagamenti, ha ipotizzato una distinzione tra gli utenti "premium" e gli altri che invece si accontenteranno del multiplayer gratis ma limitato.
Riferendosi a Call of Duty, ha infatti così profetizzato: "Ci aspettiamo che nel futuro circa la metà degli attuali 15 milioni di giocatori online paghi per i contenuti aggiuntivi. I 7,5 milioni di giocatori che sceglieranno di pagare dovrebbero generare ognuno circa 5 dollari al mese, il che si traduce in un totale annuo di 450 milioni di dollari per il publisher".
Ha poi aggiunto: "Pensiamo che i contenuti premium del multiplayer online invertiranno la tendenza al ribasso delle vendite dell'intera industria". E infine, riferendosi ancora a MW2: "Activision lamenta la mancata opportunità di monetizzare in qualche modo l'incremento di ore giocate ma portando a 0,06 dollari/ora il costo per i giocatori si otterrebbe un profitto aggiuntivo di 120 milioni di dollari in sei mesi".
"Pensiamo che le prossime uscite certe come Call of Duty: Black Ops, Medal of Honor e Halo Reach, e quelle anche solo probabili come Grand Theft Auto V, presenteranno un sistema che porterà i giocatori a pagare di più", ha poi concluso.
Parliamoci chiaro: Pachter non ha la sfera di cristallo e non tutte le sue previsioni hanno finora trovato conferma nella realtà dei fatti. Eppure la sicurezza con la quale è tornato più volte sull'argomento, nonché il modo alquanto circostanziato col quale ha esposto i fatti, qualche dubbio lo lascia.
Infine sappiamo tutti che gente come Bobby Kotick e John Riccitiello non sono esattamente dei benefattori dell'umanità ma persone profumatamente pagate per far sì che il valore delle loro azioni cresca costantemente. E dunque, anche supponendo che l'analista di Wedbush Morgan si sia inventato tutto di sana pianta, dopo avere letto le proiezioni di cui sopra non ci sarebbe da stupirsi se i due ci facessero qualche pensierino sopra.
Concludendo, allora, una volta di più quello dei videogiochi si dimostra essere un mondo in continua evoluzione, non solo sotto il profilo tecnico ma anche economico. I modelli di business di 5 anni fa, come scritto in apertura, oggi sembrano preistoria. E in questa disamina abbiamo volutamente lasciato fuori l'universo iPhone, il digital delivery e i social network, altre rivoluzioni copernicane degli ultimi anni capaci di spostare gli equilibri economici.
Infine, i videogiochi costano sempre di più da realizzare e la situazione potrebbe peggiorare notevolmente se fosse vero quanto dichiarato dal patron di Ubisoft, Yves Guillemot, quando afferma che un tripla A per la prossima generazione di hardware costerà non meno di 60 milioni di dollari.
Un po' gli spostamenti del pubblico verso l'online, un po' i costi sempre crescenti di sviluppo e mantenimento delle infrastrutture, un po' che l'introduzione del PlayStation + qualcosa vorrà pur dire, e un po' che è notizia di oggi che persino id Software ha intenzione di proporre abbonamenti Premium e Pro per Quake Live, l'ipotesi che in futuro si debba pagare per giocare online a Call of Duty o Medal of Honor non pare poi così irrealizzabile.
Certo, lo scoglio finale resterebbe sempre la propensione alla spesa dei giocatori: se nessuno pagasse per diventare un "utente premium", le major del videoludo sarebbero costrette a fare marcia indietro. Però, a ben guardare, Project Ten Dollars sta dando i suoi frutti e i map pack di Call of Duty si vendono a milioni anche quando offrono poche mappe a 14 euro.
Forse allora ha ragione Pachter, c'è margine per spremere il limone ancora un po'. Fino a che punto, lo dirà mercato...
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