Dopo aver esordito nel lungometraggio con il godibile, anche se derivativo, Creep (2004), l’inglese Christopher Smith aveva poi “cambiato direzione” con Severance (2006) horror grottesco che poco o nulla aveva a che fare con le atmosfere del film precedente. Ora, giunto alla terza pellicola, il giovane regista conferma la sua avversione alla ripetizione e, contemporaneamente, la sua voglia di esplorare il genere in tutte (?) le sue svariate sfaccettature. Triangle, infatti, differisce completamente dai lavori precedenti e si presenta quasi come un esperimento, sia nella forma che nel contenuto.
La storia vede sei amici (tra cui Jess, mamma single di un bambino disturbato) partire per una gita nell’Oceano Atlantico a bordo di uno yacht. Ad un certo punto, però, il vento cessa all’improvviso ed una strana nuvola nera si materializza dal nulla dirigendosi verso la barca. In pochi minuti, i ragazzi si trovano al centro di una furiosa tempesta e, tra vento, pioggia e onde altissime, lo yacht non regge l’urto e si rovescia in mare. Riemergendo dall’acqua i protagonisti si accorgono che una di loro non ce l’ha fatta; attaccati al relitto sperano nei soccorsi. Dopo qualche ora, dalle nuvole spunta una grossa nave che si accosta a loro e li fa salire; a bordo non sembra esserci nessuno anche se Jess, in preda ad un fortissimo senso di deja vu, è sicura di aver visto qualcuno sul ponte. In brevissimo tempo le cose cominciano a mettersi male.
Nonostante i primi venti minuti possano far pensare all’ennesima variazione sul tema Slasher, Triangle si trasforma repentinamente in qualcosa d’altro. Dal momento in cui i ragazzi salgono sulla nave, infatti, il plot si complica e la struttura narrativa comincia a non rispondere più alla regola “causa – effetto”. Man mano che la storia si sviluppa il pubblico più esperto comincia a capire, perlomeno, la direzione in cui Smith intende procedere (Timecrimes di Nacho Vigalondo è solo uno degli ultimi esempi di questa struttura narrativa) e che tipo di atteggiamento adottare nei confronti della storia. Visivamente coinvolgente, Triangle non è un film di facile fruizione anche se Smith dimostrando una rara maestria sia di scrittura che di messa in scena e montaggio, riesce a creare una tensione che incolla allo schermo nonostante la sceneggiatura non sia esente da qualche passaggio a vuoto e da qualche paradosso temporale difficile da evitare. Il merito di tutto ciò è da assegnare anche a Melissa George (Turistas), vera e propria “one woman show” che si carica sulle spalle “il peso” dell’intero film. Esempio di cinema fantastico più cerebrale e sofisticato rispetto a Creep (il gore è quasi assente), Triangle è uno di quei film destinati a dividere in due, e senza mezze misure, il giudizio del pubblico e della critica: o si sale convinti a bordo della nave oppure…è meglio scegliere un’altra vacanza.
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