Il documentario di 52 minuti di Marina Spada, presentato nella sezione Giornate degli Autori, ha un grande pregio: pur essendo poco interessante dal punto di vista visivo (è girato con una camera digitale economica a bassa risoluzione), riesce ad affascinare costruendo un’atmosfera quasi magica, all’interno della quale poter apprezzare l’ineffabile forza della parola poetica.
Dedicato alla tormentata vita della poco conosciuta e molto talentuosa poetessa milanese Antonia Pozzi, morta suicida nel 1938 a soli 26 anni, il mediometraggio è una dichiarazione d’amore tanto ai disperanti e meravigliosi versi della Pozzi, quanto all’arte della poesia in generale.
Nel mostrare alternativamente estratti da poesie e diari personali scritte da Antonia, fotografie da lei stessa scattate o in cui è presente, ma anche innestando un elemento di fiction costituito dalla saltuaria presenza di tre giovani ragazzi appassionati di poesia, la regista Marina Spada (Forza Cani, Come l’ombra) riesce nell’impresa di restituire appieno, con semplicità ed eleganza, lo stile crudo e diretto della poetessa. Arrivando a commuovere nel momento in cui promuove la speranza che la poesia possa davvero cambiare in meglio le persone, e di conseguenza il mondo.
Suggestiva la frase che pronuncia uno dei tre ragazzi nel tentativo di spiegare cosa significhi, per lui, il mestiere del poeta: “Secondo me i dottori hanno bisogno dell’aiuto dei poeti. In fondo medici e poeti fanno lo stesso lavoro: cercano di andare oltre la superficie delle cose”. Il titolo del film è tratto da un verso di Preghiera alla poesia, in cui la poetessa riscoperta solo di recente fa un appassionato e personalissimo elogio dell’arte a cui è stata completamente devota.
Da vedere, ma soprattutto da ascoltare a cuore aperto
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