Nel 2004, il pubblico del Sundance Film Festival assisteva alla drammatica avventura di una coppia di subacquei che, riemergendo in superficie, scoprivano di esseri stati abbandonati in mezzo all'oceano dalla barca che li aveva accompagnati al largo. Girato con un budget limitato e facendo leva sullo stile “documentaristico” della narrazione, Open Water si impose come una delle sorprese della stagione cinematografica 2004/2005. Sei anni dopo, il Sundance propone una pellicola molto simile a quella diretta da Chris Kentis solo che, questa volta, Frozen sposta l'azione in alta montagna.
I protagonisti sono Lynch (Shawn Ashmore) e Dan (Kevin Zegers), due amici d'infanzia che decidono di passare un week end sulla neve; con estremo disappunto dell'amico, Dan porta con se anche la fidanzata Parker (Emma Bell). Dopo una giornata intesa di snowboard, i tre vogliono fare l'ultima discesa notturna e convincono l'addetto alla seggiovia a farli salire di nuovo; giunti a metà percorso, però, la seggiovia si blocca, le luci si spengono e i ragazzi si rendono conto di essere stati dimenticati e che non riceveranno aiuto fino al week end successivo. Nel frattempo il freddo aumenta notevolmente, la presenza dei lupi nei boschi sottostanti diventa palpabile e le loro speranze di sopravvivenza diminuiscono.
Diretto dal trentacinquenne Adam Green, Frozen era un film molto difficile da realizzare, quasi una scommessa sia dal punto di vista stilistico (si svolge quasi interamente sul seggiolino a tre posti della seggiovia) che narrativo. Film come questo, infatti, funzionano nella misura in cui il regista riesca a centrare tre elementi chiave: livello di realismo, caratterizzazione dei personaggi (se non ti importa di loro, tutto il resto perde ogni motivazione) e scene madri che, ben distribuite, servono a tenere alta la tensione e, quindi, l'interesse. Frozen centra sicuramente l'ultimo obiettivo, distribuendo con intelligenza i twist più interessanti (alcuni anche discretamente gore) nel corso della pellicola, ma vacilla in quanto a realismo e (ma le cose sono strettamente collegate) caratterizzazione dei personaggi. Questo perché Green (famoso per Hatchet, divertente slasher che omaggia l'horror degli anni Ottanta), nonostante riesca a creare un'atmosfera claustrofobica e disturbante, non rinuncia a quel dialogo cheesy (leggi: comico e, alle volte, surreale) che, se andava bene in Hatchet, film fumetto completamente “sopra le righe”, in Frozen risulta superfluo e danneggia gravemente il coinvolgimento del pubblico in una storia che basa la propria forza sul “realismo del momento”. Non è possibile, infatti, che (piccolo spoiler!) uno con entrambe le gambe spezzate si metta a fare battute. Detto questo, bisogna ammettere come Frozen abbia “i suoi momenti di gloria” e, nel complesso, sia un film che funziona al punto che la prossima volta che prenderete la seggiovia, non potrete evitare qualche brivido. Forse, con un po' più di coraggio...
non perfetto...ma ci si diverte
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