Una regista da tenere d’occhio questa
Suzi Yoonessi. Al suo primo lungometraggio, ci regala una piccola delicata perla che vale la pena non perdere se ne si ha la possibilità.
Dear Lemon Lima è l’avventura di un semestre in una piccolo liceo di Fairbanks, nella lontana e sperduta Alaska.
La cripticità del titolo è presto svelata.
Lemon Lima è l’amica immaginaria a cui dedica il diario la piccola Vanessa, eclettica e anticonvenzionale eroina della storia, mollata da Philip, uno dei bellocci del liceo, che tra alti e bassi porterà la propria squadra a vincere le “olimpiadi etniche” della scuola, ispirate alle antiche tradizioni dei nativi esquimesi.
Vanessa è per metà inuit, un passato da piccola attivista dei diritti civili, apostrofata da amici e da professori come “quella che si è assimilata, come si usava fare nei primi del Novecento”, che racconta nel suo diario le piccole, grandi, disavventure del suo eterogeneo e simpaticissimo gruppo di amici.
Dear Lemon Lima, certo, è una piccola commedia dai facili e buoni sentimenti. Ma se si prova a scavare un pochino, si scopre che c’è una vastità di senso sotto il primo rassicurante strato. Yoonessi cattura non attraverso il ritmo serrato, l’incedere maestoso: è una vicenda che al contrario abbisogna di pazienza e di benevolenza. Ci immerge in una storia strampalata, curiosa, calandoci senza troppe storie sin da subito nella vicenda. Non c’è introduzione, non c’è tempo per ambientarsi.
È l’Alaska, bellezza, l’impervia terra della spigolosa Sarah Palin.
Non è un caso che si citi l’ex candidata alla vicepresidenza contro Obama. Il sottotesto politico del film è fortissimo, presente carsicamente lungo l’intero corso della pellicola.
Ma la regista, anche autrice del proprio plot, è efficacissima nel costruire una storia che scava, senza irruenza, andando a toccare quasi casualmente i punti dolenti della società di uno degli stati più freddi della federazione, così come di tutti gli Stati Uniti.
Si portano avanti le tematiche pro-life attraverso una surreale assemblea scolastica (
“niente può imprigionare una vita”, afferma convinta la piccola Vanessa, che imposta il discorso di benvenuto di inizio anno interamente sulla fibromialgia che affligge una compagna), si smontano le tesi del multiculturalismo (l’ossessione per la competizione, per la composizione delle squadre dei ‘bianchi’ fa a pugni con il senso del gioco degli esquimesi, dove “se vince uno vincono tutti”), si spinge sul dibattito interno al mondo repubblicano, mettondo a confronto old e new conservatorism (è per quest’ultimo che tifa palesemente la Yoonessi, arrivando a far letteralmente morire per la disperazione il piccolo Hercules, soffocato dal bigottismo familiare).
Tutto questo non rende il film privo di problematiche, risolto nei suoi interrogativi, nè lo renderà antipatico ad un pubblico diversamente orientato.
La pellicola è talmente sofisticata nella delicatezza con la quale maneggia con cura quel di cui tratta, che l’efficacia è garantita a 360°.
Democratici e repubblicani, pro-life e pro-choise. Ma più semplicemente grandi e piccini, anziani e bambini: correte a leggere le pagine del diario della piccola Vanessa.
Unica indicazione per l’uso: non innamoratevi troppo della piccola combriccola. Potrebbe creare dipendenza...
Commedia atipicamente dolcissima che strizza l'occhio al mondo conservatore statunitense
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