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La febbre è ancora alta
Da appassionato di horror non ho mai digerito il fatto che un evento tanto simbolico e ricco di significati per la cultura americana (e quindi di potenzialità per il genere) come il Prom Night (il ballo di fine anno) sia stato sfruttato male e senza creatività dal noiosissimo slasher di Paul Lynch Prom Night (1980, da noi noto con il titolo di Non entrate in quella casa) e dai suoi impresentabili sequel. Ora, Ti West colma questa lacuna, trasformando il suo sequel di Cabin Fever in un vero horror sul ballo di fine anno dove sangue, fluidi e sesso (inesorabilmente connessi l’uno con l’altro) recitano la parte del leone.
Spring Fever inzia proprio dove finiva il suo predecessore e, attraverso una divertente sequenza d’animazione (che poi corrisponde con i titoli di testa) sposta l’azione dai boschi ad una piccola città di provincia. Infatti, il camion con le bottiglie di acqua infetta (ricordate la fine del film di Eli Roth?) rifornisce la città con il risultato di spargere il disgustoso contagio anche ai suoi abitanti. Al centro dell’azione troviamo John (Noah Segan già visto in Deadgirl), la reginetta della scuola Cassie (Alexi Wasser) e il “simpatico sfigato” Alex (Rusty Kelley), i quali si stanno preparando (insieme ai loro coetanei) all’imminente Prom. Intanto, le bottiglie contaminate sono già state consumate da più di una persona ed i sintomi dell’infezione (tosse, bubboni, sanguinamenti e perdita di unghie) cominciano a manifestarsi. Inutile dire che il Prom si trasformerà in una notte di tregenda. Nonostante Ti West abbia pubblicamente disconosciuto il film (rimasto bloccato a lungo a causa di problemi e divergenze con i produttori), il nome del regista è rimasto ben presente nei credits e il produttore Lauren Moews ha dichiarato come, anche se West non ha avuto il famoso “final cut”, il 90% di film sia rimasto inalterato rispetto al suo montaggio originale. Il resto (che corrisponde, soprattutto, all’ultima parte) è da attribuire alla montatrice Janice Hampton, fedelissima di John Waters e quindi, responsabile di aver stilisticamente virato ancora di più Spring Fever verso i canoni della commedia grottesca più che verso l’horror tout court. Ma tutto ciò, che rappresenta uno dei lati positivi del film, già faceva parte dei piani di Ti West, il quale (insieme allo sceneggiatore Randy Pearlstein) ha pensato che non fosse troppo conveniente cercare di imitare l’horror/vintage di Roth, quanto, invece, battere altre strade. E il risultato è un film “over the top” in cui il teen horror degli anni Ottanta si mischia allo humour nero, sfrontato ed estremo dei primi film dei fratelli Farrelly, il tutto condito con peni purulenti, deflorazioni infette (la scena della piscina è un gioiellino e ribalta ogni convenzione finora conosciuta), amputazioni e scioglimenti vari. Decisamente differente dallo sperimentalismo quasi astratto di Trigger Man (2007) o dal sofisticato gioco stilistico di House of the Devil (2009), Cabin Fever 2: Spring Fever colpisce comunque nel segno e ci regala un ora e mezza di sano (qualcuno potrebbe obiettare sull’uso di questa parola…) divertimento.
divertente ed estremo
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