Elysium: Recensione

Di   |   29 Agosto 2013
Elysium: Recensione

Fantascienza socialista
Il futuro sarà un posto bruttissimo, assai peggio del nostro presente, a meno di non essere molto ricchi. Piace questo tema alla fantascienza, quando ipotizza plausibili scenari futuri per l'affollata, stanca, sporca umanità che affligge il nostro pianeta sempre più sovrappopolato e privo di risorse. Come in tanti altri titoli di genere (ma anche come in Wall.E), la Terra è stata abbandonata a se stessa, come farebbe un benestante cittadino che decidesse di lasciare un quartiere che nel tempo si è degradato, diventando un lurido ghetto, troppa sporcizia, troppa brutta gente, troppo disordine. Nel 2154 Max è un misero operaio di basso rango che trascina un'esistenza stentata in una specie di favela dove vige la legge del più forte.


Ma il più forte fra i deboli, perché i veri potenti se ne stanno comodamente asserragliati su una gigantesca colonia spaziale, Elysium, che ruota nello spazio usando l'umanità come manodopera a bassissimo costo, dal facile ricambio. I ricconi si sono pure dotati di speciali capsule per guarire da ogni male, ambitissime dai miserabili terrestri. Condannato a morte dall'esposizione alle radiazioni causa un incidente sul lavoro, Max, dopo l'impianto doloroso di un esoscheletro di acciaio per potenziare il suo corpo malato, accetta di diventare uno strumento in mano ai ribelli che vogliono impadronirsi di Elysium per porre fine a ingiustizie e sfruttamenti. Ma a sbarragli la strada troverà una feroce avversaria, il Ministro Delacourt (Jodie Foster), spietato Segretario di Stato, una versione enhanced della peggiore Margaret Thatcher, ben decisa a conservare il dorato isolamento della classe dirigente, disposta a giocare sporco per tenere lontane le detestate masse di "terzomondisti". Blomkamp torna ad atmosfere che gli sono congeniali, dopo il suo esplosivo esordio con Distric 9, con uno stile riconoscibile oltre che nelle tematiche (la prepotenza indifferente del Potere, i soprusi di pochi dominatori su molti dominati) anche nell'ambientazione, con le miserabili bidonville, gli sterminati sobborghi fatiscenti dove si accalca un'umanità oppressa, un mondo industriale di fabbriche e miniere, di metallo e polvere, che acuisce il contrasto con l'asettica pulizia del super-tecnologico empireo degli happy few. Gli "extra comunitari" che assediano la solita utopica "Svizzera" sono brutti sporchi e cattivi e chissà cosa ne farebbero di tanto ordine, di tanta bellezza. Sicuramente sporcherebbero il tappeto, pretenderebbero che tanto superfluo venisse suddiviso fra molti invece che fra pochi. A vedere il film vorrebbero solo cure mediche per tutti, nella realtà non è sempre solo così, ma Elysium è una storia poetica e tragica e non un trattato di socio-politica. Nel cast di star più commerciali, Matt Damon e Jodie Foster, Blomkamp aggiunge interpreti latini (Diego Luna, Alice Braga, Wagner Moura) e conserva il suo attore dell'esordio, Sharlto Copley, quest'anno con altri due film in uscita, Europa Report e Open Grave, che si cala efficacemente nei panni di uno spietato mercenario al soldo del Sistema. Belle musiche dell'esordiente Ryan Amon, nome da tenere a mente. Come l'horror anche la fantascienza è un genere che si presta benissimo a rispecchiare tutti i problemi della nostra società, facendosi allegoria di situazioni chiaramente leggibili che però non inficiano una lettura anche più superficiale (così si mandano a casa soddisfatte più aree di spettatori). Mentre rimescola (stile Oblivion) molto del già raccontato in tanta fantascienza, Elysium è stato accusato di formulare una metafora ormai demodè e scontata dell'arrembaggio dei poveri alla parte affluente della società, in Europa tutto il continente africano, da Nord a Sud, e il Medio Oriente e via via i paesi più a Est, mentre gli americani hanno il loro Messico. Ma non si può negare che il problema, anche se annoso, esista e in questi termini quindi la metafora, pur se stanca, è valida. Piuttosto ci sembra sbagliata la scelta di Matt Damon, troppo maturo per il ruolo e con quella sua faccia (e la stazza) del tipico brav'uomo americano e non certo da proletario meticcio. Con l'aggiunta di un paio di spettacolari disastri e alcune scene d'azione ben girate grazie ai capitali questa volta a disposizione (si parla di un budget triplicato), Blomkamp, giovane sudafricano che deve il suo esordio a Peter Jackson, qui realizza un onesto compromesso fra le sue esigenze autoriali e la necessità di confezionare un prodotto commerciale nel senso inteso da una major, un tentativo di blockbuster d'autore. Si sa che non è mai facile.

Giudizio

  • La guerra dei poveri
  • 6/10

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