Cloud Atlas: Recensione

Di   |   09 Gennaio 2013
Cloud Atlas: Recensione

Amor vincit omnia
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo....Siamo uno e siamo tutti, siamo un cerchio infinito delle stesse anime, perché l'anima del mondo è un unico che si frantuma e ricompone. Come le sei storie che ci vengono riccamente illustrate, quelle di un gruppo di personaggi, che passano alternativamente da uomo a donna, da buono a cattivo, da vittima o da carnefice, da ricco a povero, da giovane o da vecchio, continuando a incrociarsi nel corso del tempo, dal diciannovesimo secolo al futuro più lontano. Dato che tutto è connesso, i loro destini si intrecciano ma sempre diversamente, mentre le loro vicende ci vengono raccontate in disordine temporale, a segmenti ora più brevi ora più lunghi. Alla fine tutte le tessere si metteranno in ordine mostrando il quadro completo, il filo diritto che ha condotto tutti dove e come dovevano essere.


Lungo il percorso tutti avranno l'occasione per scegliere se salvare l'umanità o affossarla. Un avvocato idealista affronta un lungo viaggio nel 1839, per ricongiungersi all'amata e iniziare a combattere la schiavitù; negli anni '30 un giovane compositore, dotato ma povero, lotta invano contro i molteplici pregiudizi dell'epoca; nella San Francisco degli anni '70 una giornalista si batte contro una spietata multinazionale nel campo dell'energia; ai nostri giorni un editore incauto e spendaccione finisce segregato in una casa di riposo per anziani che sembra un lager; nella Neo-Seul del 2144 un operaia-clone si ribella al suo destino di schiava, propagando un messaggio di verità, che diventerà la religione di un lontanissimo futuro, nel 2321, sul nostro pianeta regredito a uno stato post-apocalittico da qualche imprecisata catastrofe. Là un misero pastore osa sfidare per amore le superstizioni che lo inchiodano al suo stato, facendo da guida a un'appartenente a una casta superiore. Gigantesco il progetto, 170 minuti di film per trasporre sullo schermo L'Atlante delle Nuvole, il romanzo fiume di David Mitchell del 2004, di culto fra gli appassionati di fantascienza e fantasy, che in origine era di Tom Tykwer, che dirige gli episodi più recenti, anni '30, anni '70 e 2000. A lui si sono uniti Lana e Andy Wachowsky, che si sono occupati di quelli visivamente più consoni alla loro sensibilità estetica, cioè le due storie future ed anche quella dell'avvocato e del suo viaggio (alla fine Cloud Atlas è il film indipendente più costoso di sempre oltre che la più grande produzione tedesca). Impossibile non parlare del cast di ottimi attori, due soprattutto, Tom Hanks e Jim Broadbent, ma vanno ricordati anche Halle Berry, Hugo Weaving, Jim Sturgess, Doona Bae, Ben Whishaw, James D'Arcy, Susan Sarandon e Hugh Grant. Ognuno interpreta più personaggi, a volte sotto truccature pesantissime, e si "incarna" sia in altri personaggi importanti sia anche solo in brevi comparsate in episodi in cui non è protagonista, per la gioia del comparto "trucco & parrucco", coadiuvato da eccezionali costumisti, scenografi e responsabili degli effetti speciali. Forte di una dimensione visiva straordinaria e di alcune grandi intuizioni, Cloud Atlas le spreca per un racconto non allo stesso livello, anche se va dato atto a registi e sceneggiatori di avere dimostrato un'indiscussa capacità nell'allacciare e riunire tutti i dettagli, ricomponendo e dando un senso alle singole, frazionate avventure. Ma il problema è proprio il senso. La storia propaga una visione del mondo e dell'umanità che molto deve a note filosofie e religioni, con un messaggio "denso di significato" forse per un americano medio (anche se detestiamo le generalizzazioni e non nutriamo pregiudizi nei confronti di nessuna categoria), perché nulla di nuovo viene detto, se non le solite riflessioni vagamente new-age oltre che cristiano/buddiste/spielberghiane (non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, chi salva un uomo salva l'umanità, oltre ai principi base della reincarnazione): "le nostre vite non ci appartengono, dal grembo alla tomba siamo legati agli altri, passato e presente, e ogni crimine e atto di gentilezza rinasce nel nostro futuro" oppure "le anime attraversano le età come le nuvole i cieli, chissà chi soffia le nuvole e chissà come sarà la mia anima domani". E anche: "le nostre vite solo una goccia in un oceano, ma cos'è l'oceano se non una moltitudine di gocce". Tanto per rendere l'idea..... Il messaggio più interessante è quello più "politico" che cita Solzhenitsyn ("finché dai loro qualcosa puoi conservare il potere sulle persone, privali di tutto e quegli uomini non resteranno a lungo in tuo potere"), mentre nel segmento di Seul, più matrixiano, le operaie sono veramente carne da macello (non a caso Soylent Green viene citato anche nell'episodio dell'editore). Per usare il famoso detto, insomma, la montagna ha partorito un topolino, una montagna lussureggiante, sia chiaro, ma le storie non hanno l'intensità emotiva necessari, il pensiero finale non è certo particolarmente illuminante e nemmeno la forza "politica" tale da rendere tutta l'operazione memorabile, equilibrando la confezione al contenuto.

Giudizio

  • Non siamo isole nella corrente
  • 6/10

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