Un figlio già distante lascia la California, se ne va in Europa e lì muore. Il padre è il dottor Tom Avery, un anziano oculista dalla mentalità conservatrice e dallo stile di vita abitudinario, al quale il figlio Daniel aveva risposto con un'esistenza randagia ma libera. Uomo stanziale e avverso a qualunque imprevisto, parte anche lui per l'Europa, luogo lontano e troppo diverso per i suoi provinciali occhi. Dalla Francia però, dove è andato a recuperare il corpo, prende l'irrazionale decisione di ripercorrere il Cammino di Santiago, lungo il quale il figlio è morto, colto alla sprovvista da una tempesta, per fare completare almeno alle sue ceneri quel percorso come lui evidentemente desiderava. Parte da Saint Jean Pied de Port, una cittadina nel versante francese dei Pirenei, e la meta è il santuario di Santiago de Compostela, nella regione spagnola della Galizia, 800 km del pellegrinaggio più famoso e "mondano", che anche laici incalliti hanno intrapreso per curiosità. Conterà il viaggio e non la meta. Mentre si tormenta al pensiero di non aver mai saputo bene chi fosse quel suo figlio, nell'inevitabile mescolanza con gli altri pellegrini Tom sarà costretto ad abbandonare poco a poco la sua anglosassone riservatezza e a mettere le sue idee un po' sclerotizzate a confronto con altra umanità. Il film si sviluppa come un diario di viaggio, mentre i personaggi si affiancano per un poco e poi sfumano nel procedere della marcia, finché non resta il gruppetto più solidale, quello delle persone che hanno trovato più affinità. E intanto sole e pioggia, afa e freddo, ostelli e qualche albergo più confortevole, mal di piedi e stanchezza, chiacchiere e discorsi, cibo e vino, il tutto punteggiato da alcune disavventure tecniche raccontate con qualche eccesso "folkloristico" tipico dell'americano quando parla di cose europee. E splendidi paesaggi e la maestosa cattedrale nel finale, con il rito spettacolare del gigantesco turibolo fumante che ondeggia lungo le navate a velocità sempre crescente. Senza dare risposte religiose, senza "illuminazioni", con umanità, qualche "buonismo" di troppo ma anche con alcune parentesi ironiche e con una percepibile, delicata partecipazione, il film racconta un viaggio importante, che concederà a Tom non la consolazione, ma almeno il necessario stacco che consente un'adeguata elaborazione del lutto, di cui sempre mancano i nostri tempi di frettolosa rimozione. Il chiuso borghese americano capirà anche che non importa l'oggetto della fede (dio, natura, ideali vari), ma semplicemente la forza di "credere" e basta, di avere qualcosa che ci trascini con forza attraverso una vita che altrimenti non avrebbe senso, priva di stimoli, stancamente aggrappata a piccolezze quotidiane, ripiegata su se stessa, senza curiosità verso tutto il meraviglioso esterno che ci circonda, natura, persone, cibi, modi di essere, la vita vera insomma. Dirige Emilio Estevez, che compare anche nei flashback nel ruolo del figlio, confermando il suo buon rapporto con il padre Martin Sheen, solito interprete sensibile, dedicando il film a Francisco Estevez, scomparso nonno di una dinastia davvero particolare. Il padre di Martin Sheen nel 1914 era emigrato da Salceda de Caselas, in Galizia, verso Cuba. Da lì era riuscito a entrare negli Stati Uniti e il destino gli aveva fatto incontrare la sua futura moglie (madre di Martin) proprio durante un corso per ottenere i documenti di cittadinanza. La sceneggiatura è però basata sui racconti tratti da "Off the road: a modern-day walk down the Pilgrim's route into Spain" di Jack Hitt. Fra i compagni e gli incontri di viaggio compaiono Deborah Kara Unger, James Nesbitt, Yorick van Wageningen, Angela Molina, Tchéky Karyo. Nella colonna sonora Alanis Morisette giustamente canta Thank you. Dissentiamo dall'imprecisa frase di lancio "la vita non si sceglie, si vive", perché al contrario proprio si deve scegliere con precisione come viverla, per non sprecarla.
The Way - Il cammino di Santiago: Recensione
Di Giuliana Molteni | 02 Luglio 2012Off the Road
Fra le varie cose che può pensare della religione un laico, una è una verità indiscutibile: chi ce l'ha può più facilmente trovare consolazione alle sventure della vita. La vicenda narrata con delicatezza da Emilio Estevez nel film che nell'originale si intitola semplicemente The Way, non racconta però una banale folgorazione sulla via di Damasco o Santiago, ma ha un suo significato meno riduttivo, che la rende apprezzabile anche da chi fosse interessato al massimo per motivi turistici alla famosa località.
Giudizio
- Muoversi, sempre
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