I mercenari 3 – The Expendables: Recensione

Di   |   03 Settembre 2014
I mercenari 3 – The Expendables: Recensione

Stanno tutti bene

E così, dopo i primi due episodi (meglio il primo del secondo) e la realizzazione di questo terzo con la promessa del quarto, si può ben dire che Sly si è inventato un'altra serialità di successo, dopo Rocky e Rambo. Stallone, classe 1946, dato più volte per spacciato nella vita vera, deriso per la sua faccia devastata da anabolizzanti e chirurgia plastica, si è messo a capo di una pattuglia di stanchi eroi, perché gli eroi di questa storia così sono: sul viale del tramonto di una vita solitaria, onusti di cicatrici morali e materiali, nel sentore di sudore misto all'inchiostro dei tatuaggi, di fumo di sigari e polvere da sparo, e di elettrica adrenalina, condita con l'impalpabile testosterone.


A chi può interessare la sorte di questi personaggi, sono "expendables", sacrificabili, disillusi di tutto, segnati da una vita sempre ai limiti, sono mercenari ma sotto una scorza durissima batte ancora un cuore, e alcuni valori sono rimasti immutabili, costi quel che costi. Dato l'assunto che del Sistema, della Legge non ci si può fidare, ne consegue che l'unico posto in cui regnano fratellanza, solidarietà, correttezza, lealtà, dignità, non può che essere fra fuorilegge. Sventolando questo vessillo continuano così le avventure dei nostri maturi eroi variamente ammaccati, mediamente disincantati, generalmente asociali, socialmente emarginati, un vero Wild Bunch come pochi altri. Tutta la retorica assodata di questo genere è messa al servizio di trame sempre elementari, buoni ammaccati e impolverati contro cattivissimi tirati a lucido, non per soldi, non per ideali politici, non per fede, solo per coerenza. Sam Peckinpah insomma e oggi Johnny To. Anche un po' di Clint Eastwood, a voler ben guardare. Ma più trash, perché nella storia c'è la mano del muscolare Sylvester Stallone. Con il solito mix di azione e siparietti comici, di frasi a effetto e battutine, li ritroviamo in una movimentata sequenza d'apertura, a recuperare un amico dalla prigionia (e qui l'ironia è apprezzabile, trattandosi del redivivo Wesley Snipes, reduce da circa tre anni di galera per evasione fiscale). Fra i vari postacci dove ambientare l'azione seguente (non c'è che l'imbarazzo della scelta) si finisce in Somalia, dove però la scoperta che un vecchio avversario creduto morto gode ancora di ottima salute fa fallire l'operazione. Per catturare l'odiato ex compagno divenuto miliardario trafficando in armi e opere d'arte, Sly accetta allora un incarico suicida nel quale però non vuole nessuno dei vecchi compagni. Procede alla selezione di nuovi membri, anche se il vecchio team non accetta di essere messo da parte. Ma anche i ragazzini, expendables per il loro stesso capo, si riveleranno non solo carne da macello, ma capaci nelle rispettive abilità. L'epocale resa dei conti finale si avrà in una fatiscente location in Romania, il tutto senza farsi mancare niente, sparatorie iperboliche, combattimenti corpo a corpo, cannoneggiamenti, esplosioni, battaglie aeree, parkour, e anche cose esagerate con una moto. Il vecchio team (e il vecchio cast) viene messo in disparte dopo la prima parte per ricomparire in quella finale, insieme alla riuscita new entry di un divertente Antonio Banderas (che aveva già lavorato con Stallone in Assassins in tempi più gloriosi per tutti, così come Snipes in Demolition Man). Doveroso a fianco di ogni nome segnalare la data di nascita, perché la forza di Expendalbles sta soprattutto nell'anagrafe. Ancora e sempre in spettacolare forma e con una bellissima faccia Dolf Lundgren (1957), ben rimesso in forma anche Wesley Snipes (1962), qui micidiale esperto in coltelli, al quale né nella realtà né nella finzione la galera ha impedito di mantenere una massa muscolare rispettabile. C'è sempre il "nipotino" Jason Statham (1967), che in duetto con Stallone regala i suoi momenti spiritosi ma anche sentimentali. Gran faccia da perfido, nei panni del villain compare un ottimo Mel Gibson (1956), trafficante d'armi miliardario dalla vita raffinata ma dalla faccia sciupata dai suoi peccati. Si presta in poche scene (ma sempre godibile) Arnold Schwarzenegger (1947), mentre Harrison Ford (1942, il più anziano del gruppo) fa il freddo burocrate che non vede l'ora di rimettersi in mimetica. Kelsey Grammer (1955) è il disincantato reclutatore e Antonio Banderas (1960) rifiuta ostinatamente la rottamazione e cerca di passare per "giovane". Si rivedono Jet Li (1963), gli enormi Terry Crews (1968) e Randy Couture (1963), compare anche un altro celeberrimo "cattivo", Robert Davi (1953). Le nuove reclute sono l'esordiente Ronda Rousey, Victor Ortiz e Glen Powell, insieme al più noto Kellan Lutz (Twilight Saga, Hercules). Su sceneggiatura di Creighton Rothenberger e Katrin Benedikt (Olympus Has Fallen), dirige il quasi esordiente Patrick Hughes mentre Sly è impegnato dall'altra parte della macchina da presa, rifiutando fieramente di scendere sotto le due ore. Se si cerca il capello nell'uovo, se si vuole sottilizzare, I mercenari 3 non è il film adatto, dato l'alto numero di incongruenze che obbligano a esercitare la benemerita sospensione di incredulità in diverse occasioni (qui soprattutto nel campo dell'hackeraggio, in cui tutto è possibile, basta schiacciare un tot di tasti, prendiamo atto e non sottilizziamo). Finale sulle note di Old Man con Neil Young che dice "oh man look at my life, I'm a lot like you were" e come si fa a non voler bene a tutti?

Giudizio

  • Non siamo il futuro, siamo il passato
  • 7/10