“Ogni scrittore ha il grande sogno di comunicare ciò che sente o le proprie idee, e di essere conosciuto per questo. Io ho imparato quello che sono grazie a questa storia”. A parlare è lo sceneggiatore Damon Lindelof e nelle sue parole sembra già insinuarsi un velo di sottile malinconia per una lunga avventura durata 5 intensi anni ed ora quasi al termine. Trattasi naturalmente di Lost, la serie tv che ha rivoluzionato le regole del piccolo schermo a tal punto da essere considerato un prodotto più cinematografico che televisivo.
Lindelof, insieme al suo fedele collega di scrittura Carlton Cuse, è stato oggi protagonista di una lezione di sceneggiatura a Roma (in occasione del RomaFictionFest) cui hanno partecipato più di 1000 persone (senza contare coloro che seguivano l’evento in streaming su internet). E allora chiediamo subito al nostro improvvisato docente: qual è la prima regola da seguire in ogni lavoro creativo? La risposta è semplice: andare contro ogni regola. “Di solito quando si crea un prodotto televisivo si va poi a cercare quel comune denominatore di successo che permetta di semplificare il più possibile la storia in modo da renderla appetibile alla maggior parte del pubblico. Noi abbiamo sempre ragionato esattamente al contrario e alla fine abbiamo avuto la giusta ricompensa”.
Ed in fondo la loro creazione viene ad oggi considerata a ragione il più grande azzardo e la più rischiosa scommessa che la televisione abbia mai fatto. “Quando abbiamo cominciato a scrivere, il pubblico era abituato a episodi che avevano un inizio, un intermezzo e una conclusione, e non riusciva a seguire più di 6-7 personaggi alla volta. Solo adesso credo che inizi a capire cosa avevamo davvero in mente”. Non si contano in effetti i colpi di scena e i capovolgimenti totali di fronte che continuamente i due sceneggiatori regalano allo spettatore, come del resto non si contano i personaggi che hanno preso parte alla storia, iniziata nel 2004 con ben 15 protagonisti da gestire: “All'inizio pensavamo che non avrebbe mai funzionato”, ha dichiarato Carlton Cuse, “e quando poi il produttore esecutivo è stato licenziato dopo il primo episodio, io e Damon ci ritrovammo all'improvviso da soli. Decidemmo che avremmo fatto solo 12 episodi, ma ci siamo promessi che sarebbero stati i 12 episodi più creativi della storia della tv. E alla fine abbiamo dato vita ad un copione tremendamente complesso, ambiguo e con tanti personaggi, in modo tale che diventasse una serie televisiva diversa da tutte le altre”.
Tuttavia le scene preferite che i due sceneggiatori hanno mostrato al pubblico (la partenza della zattera nella prima stagione e la morte di Charlie alla fine della terza) sono paradossalmente prive di dialoghi: "Credo sia difficile", ha proseguito Lindelof, "per degli attori lavorare senza parole, ma ancora di più lo è per gli scrittori. Per uno scrittore dover trasmettere un messaggio emotivo senza personaggi che parlano rappresenta la più grande sfida, ecco perché siamo così soddisfatti di queste scene”. Cuse sottolinea invece l’importanza del lavoro di squadra: “Non esistiamo solo noi. La scena della zattera è la nostra preferita perché è un perfetto esempio di lavoro collaborativo. La trovata del cane che la insegue è venuta in mente al regista Jack Bender. E poi ci sono le musiche di Michael Giacchino (candidato all'Oscar per la colonna sonora di Ratatouille). Per esprimere emozioni credo che un compositore di origine italiana sia sempre la scelta migliore. Quando la musica è stata montata sulla scena mi ricordo un sacco di gente lì presente che si è lasciata andare ad un lungo applauso e qualcuno aveva anche le lacrime agli occhi”.
I due non hanno dubbi su quale sia l'aspetto più importante di una sceneggiatora: i personaggi. Lo dimostra il successo dell’episodio intitolato La costante, ritenuto dalla critica americana (mai avara di sensazionalismi), uno degli episodi più belli e commoventi che si siano mai visti nella storia della tv. Secondo Lindelof “gli sceneggiatori hanno qualcosa da imparare da questo episodio: solitamente ci mettiamo due settimane a scriverne uno, ma per questo ne sono state necessarie cinque. Tutti parlano della mitologia di Lost, ma ciò che per noi ha sempre contato è il lavoro sui personaggi. Volevamo che i viaggi nel tempo esulassero dal concetto scientifico e avessero anche una risonanza a livello emotivo. E questo è stato il risultato”. Stesso discorso vale per quello che sarà il finale della serie: “Non si deve voler insegnare nulla, né predicare qualcosa. Bisogna lavorare sempre sulla dimensione dei personaggi in modo che siano loro le basi attraverso cui ognuno formuli le proprie idee e dia, alla fine di tutto, le proprie interpretazioni”.
Ma come inizia la giornata di due sceneggiatori al lavoro su un progetto così complesso? “Innanzitutto con una buona dose di alcool, tequila e vino”, scherza inizialmente Carlton Cuse, “Poi io e Damon ci vediamo a colazione e parliamo dai 30 minuti alle 2 ore di tutto e di più e gettiamo i semi che poi potremmo coltivare durante la fase di scrittura creativa. Poi si va subito nella stanza degli sceneggiatori, dove siamo in otto, e lì si gettano le idee su una lavagnetta bianca e poi si sintetizza il tutto”. “E’ una vita decisamente monastica, tanto che approfittiamo sempre di occasioni come questa per uscire” ha aggiunto Lindelof.
Se il futuro di Lost pare ormai comunque definito, lo stesso non si può dire per quello dei due sceneggiatori: “Siamo così impegnati che l’unica cosa cui riusciremo a pensare per il prossimo anno sarà Lost. Pensate che J. J. Abrams è andato via per girare Mission: Impossible 3 e nell’arco di tempo in cui lui ha finito un film, noi abbiamo dovuto realizzare 46 episodi. Abbiamo ritmi insostenibili. Non so quindi cosa verrà dopo, ma sarà qualcosa di diverso, e sicuramente di meno complicato”.