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La smaterializzazione del prodotto (parte 1)

[del 18/01/2010] [di Fabio Viola]
L’evolversi delle piattaforme e l’avvento della connettività “always on” hanno reso possibile un fenomeno fino a pochi anni fa impensabile, la fruizione digitale dell’esperienza di intrattenimento. Scaricare musica o giocare direttamente via web è una attività comune tra i giovanissimi e non, tanto da aprire nuovi scenari sia per i consumatori che per i produttori di videogiochi. La smaterializzazione del packing contribuisce a innovare le tipologie di offerta costringendo i publisher tradizionali a una non facile co-gestione di cataloghi fisici e digitali. Su questo tema si è cimentato recentemente il CEO di Electronic Arts, John Riccitiello, in una intervista video all’agenzia di stampa Reuters.

Attualmente EA è la software house maggiormente attrezzata nel gestire il faticoso trapasso, grazie a una serie di acquisizioni che le hanno dato un notevole vantaggio competitivo. Pogo.com, Playfish (acquistata settimane fa per circa $300 milioni), la divisione mobile che sforna giochi per cellulari e iPhone e prodotti online stanno tutti crescendo, in termini di fatturato, con un tasso maggiore dei titoli console/PC. Nell’ultimo quarto finanziario, la divisione digitale di EA ha totalizzato $138 milioni e le previsioni a livello mondiale indicano che il gaming digitale supererà per fatturato il gaming “pacchettizzato” arrivando a rappresentare la fetta più grande dell’intera industria videoludica stimata sui 50 miliardi di dollari nel 2009.

Prendendo spunto da queste importanti dichiarazioni, è il caso di capire come e perché il mercato stia subendo questo lento ma inesorabile mutamento andando a scandire tre fasi del ciclo vitale.

SVILUPPO

I videogiochi AAA richiedono ormai risorse nell’ordine di decine di milioni di euro e tempistiche tra i 3-4 anni. A fronte di investimenti così onerosi, simili a quelli destinati a produzioni cinematografiche di medio valore, solo pochissimi player sono in grado di mettere a budget somme vicine ai 40 milioni di euro e di conseguenza il mercato è ormai trainato da sequel e da brand famosi lanciati sempre dalla solita manciata di software house. Quale start-up sarebbe in grado di supportare tali costi per il solo sviluppo del prodotto, senza contare poi la fase di marketing e di distribuzione fisica? Il gioco può valere la candela solo per quelle software house attrezzate finanziariamente, e la dimostrazione più recente arriva da Activision Blizzard col suo Call of Duty: Modern Warfare 2 che ha totalizzato 1 miliardo di dollari in pochi mesi.

I nuovi mercati digitali, ad esempio iPhone e Facebook, consentono di abbattere notevolmente il rischio di sviluppo. Realizzare un AAA su social network può costare al massimo 300.000 euro e un tempo di rilascio commerciale mai superiore ai 5/6 mesi. Un investitore o una start-up riescono più facilmente a reperire il budget per il lancio, anche perché la versione BETA data in pasto agli utenti saprà già indirizzare il publisher sul futuro del prodotto. Qualora non riscuotesse subito un certo consenso si potrebbe stoppare la produzione e quindi non arrivare mai al lancio della versione Full, dimezzando ulteriormente tempo e costi investiti senza ritorno.

Qualora, invece, il prodotto dovesse funzionare, si possono ottenere successi recenti come Farmville di Zynga. Questa semplice simulazione di vita contadina, lanciata la scorsa Estate su Facebook, attrae oggi oltre 73 milioni di utenti attivi ogni mese, generando svariati milioni di dollari/mese attraverso le sue varie forme di monetizzazione.

DISTRIBUZIONE
Attualmente la quasi totalità del mercato dei giochi Console/PC passa attraverso la vendita di una scatola, infatti il 75% degli acquisti avviene nei negozi mentre il restante online o tramite altri canali. Ammettiamo di avere tra le mani un buon prodotto, diventa fondamentale avere accordi con la Grande Distribuzione (Carrefour), catene tecnologiche (MediaWorld), catene specializzate (GameStop) e un’infinità di piccoli negozi locali. Pur avendo questi accordi, è poi fondamentale avere la visibilità nel punto vendita, cosa che difficilmente si ottiene senza un grande brand alle spalle o una grande forza di negoziazione dettata dalla potenza di fuoco del publisher. Al contrario nell’emergente segmento mobile/social la distribuzione è aperta, tanto da aver dato vita alla definizione di 'Ecosistemi Aperti'.

In questo ambiente si crea il paradosso dell’eguaglianza (almeno a livello teorico) tra il piccolo sviluppatore casalingo e il grande publisher che si contenderanno il bacino potenziale di 350 milioni di utenti Facebook piuttosto che i 50 milioni di possessori iPhone/iPod Touch.

Nel mondo Console/PC esiste il fenomeno dell’ hype, l’attesa e la prenotazione di titoli che già si sanno essere dei bestseller. Nel mondo del gaming digitale 2.0 tutto è guidato dal consumo istantaneo, dal passaparola tra non giocatori. Altro aspetto importante da tener presente è il costo del gioco fisico contro la gratuità, o quasi, del prodotto digitale. Entrando in un negozio, le nuove uscite per le piattaforme “Next Gen” arrivano a costare anche 60/70 euro rendendole immediatamente prodotti di nicchia. Quanti ragazzi sarebbero interessati a giocare al nuovo Call of Duty ma non posseggono la PS3? Quanti ancora pur possedendo una console non hanno immediatamente a budget decine di euro da investire nel capolavoro tanto agognato?

Chi potrà permetterselo si ritroverà tra le mani un prodotto di grande qualità, di cui magari ha seguito vita, morte e miracoli sui siti specializzati. Il publisher con questo sistema incassa una cifra costellata da alcuni costi come il margine del punto vendita, la masterizzazione e la creazione packaging e il marketing B2C/B2B per promuovere il prodotto tra il pubblico e posizionarlo nei negozi. Di contro sui social network (man mano anche su iPhone ed altri mobile app store) vige il modello 'FREEMIUM'.

[l'intervista continua e si conclude al seguente link.]

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