Non nominare l’opinione pubblica invano.
Se fosse un comandamento, la classe dirigente, i politici di questo nostro Belpaese l’avrebbero più volte violato. Fino a qualche tempo fa l’opinione del pubblico, delle persone che osservano e valutano i comportamenti dei propri rappresentanti e, intanto, elaborano le proprie idee sullo stato del paese, è stata invocata senza ritegno o vergogna per sostenere posizioni e supposte verità di comodo. Oggi la «dittatura dei sondaggi», costruita da enti esplicitamente di parte (ogni centro di potere ha il proprio, pronto ad avvalorare le tesi del suo proprietario) ha sostituito quello scempio con un altro ben più grave: la cancellazione totale dell’opinione pubblica, le cui ultime «sacche» di persistenza risiedono nella frammentata (“
dividili e vincerai”, sosteneva qualcuno…) realtà di Internet.
A dare nuovamente voce al popolo (con buona pace dei benpensanti che considerano superato questo termine) ci hanno pensato tre giovani registe, Elisa Fuksas, Francesca Muci e Lucrezia Le Moli. Ciascuna di loro si è concentrata su un aspetto emblematico della crisi, invisibile e distruttiva al pari di un tumore, che da tempo affligge l’Italia (rispettivamente l’Ambiente, i Giovani e la Politica), intervistando quell’opinione pubblica reale, abitualmente ignorata e calpestata. Persone diversissime per estrazione sociale, istruzione e provenienza geografica. C’è chi, a 19 anni, alle sue prime elezioni, si è rifiutata di votare perché incapace di trovare qualcuno che la “rappresentasse” e chi semplicemente desidera poter continuare a divertirsi con i propri amici; chi considera gli stranieri “opprimenti” e chi si augura la rivoluzione.
Anime e pensieri presentati senza il filtro di un punto di vista calato dall’alto (come spiegano Muci e Fuksas nella nostra intervista), espressione di innumerevoli diversità che nessun sondaggio potrà mai presumere di saper interpretare. Il risultato è L’Italia del nostro scontento, un coro da tragedia greca (nonostante il titolo rimandi a Shakespeare, ma sempre di tragedia si tratta) nel quale queste diversità s’incontrano da un lato, nell’insoddisfazione nei confronti di un paese dove la trasformazione (sociale, politica, culturale) ha coinciso con un costante degrado, e, dall’altro, nell’impegno, ingenuamente ottimista, forse, per invertire tale rovinosa tendenza.
Tecnicamente, siamo lontani dai virtuosismi dello stile accattivante di un Michael Moore. Tutto è sacrificato in favore delle idee, delle frustrazioni e delle proposte espresse spontaneamente dagli intervistati. Un «mosaico bipartisan» nel quale si alternano insofferenza e tenace speranza, nei riguardi del presente e, soprattutto, del futuro di un paese così difficile da amare.
E scusate se è poco.
Svegliati, popolo!
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