Gli anni non sembrano passare mai per Margarethe von Trotta, sia anagraficamente, sia in relazione al suo sguardo sul contesto umano, politico e sociale che la circonda. Non a caso, il suo ultimo lavoro, Vision, presentato in concorso al Festival Internazionale del Cinema di Roma, è stato concepito negli anni ’80 e vede, nel ruolo di protagonista, la straordinaria Barbara Sukowa, già diretta dall’autrice tedesca in due suoi precedenti capolavori, Anni di piombo e Rosa Luxemburg.
Dietro la storia, vera, di Ildegarda di Bingen, monaca tedesca in possesso del dono della visione, che la mette in contatto diretto con il divino ed i suoi dettami per l’umanità, c’è tutto l’impegno, l’indubbia capacità registica e il profondo femminismo che da sempre hanno animato il cinema di questa regista mai scontata.
La profonda umanità di Ildegarda, a fronte di un’epoca d’insensibile e freddo patriarcato, unita alla sua abilità nel destreggiarsi tra le pieghe contorte e le influenze reciproche, politico-economiche, tra Chiesa ed aristocrazia latifondista, ne fanno una donna-simbolo dell’emancipazione femminile. Il simbolo di un potere legittimato dalla propria bontà e trasparenza, che la von Trotta esalta anche per «scoperchiare» un vaso di Pandora ecclesiastico, un ambiente colmo di corruzione ed ambizioni molto poco spirituali, così gretto e meschino da sfruttare un miracolo, o, viceversa, negarlo con forza, a seconda dei vantaggi che possono derivarne.
Atteggiamento, questo, che non appare superato, se si considerano le alterne vicende che hanno caratterizzato le vite, e, in certi casi, le morti, di alcuni profeti recenti, anche italiani…
Il risultato è una pellicola minimalista, che corre costantemente il rischio di scivolare in una sorta di «kitsch misticheggiante».
Ad impedirlo ci pensano l’interpretazione coinvolgente, appassionata della Sukowa e il talento visivo, accompagnato dalla coerenza etica, prima ancora che politica, di una regista di cui c’è ancora molto bisogno.
Misticismo e femminismo, religione e appassionato impegno politico: il cinema di Margarethe von Trotta
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