11 settembre 1683: Recensione

Di   |   09 Aprile 2013
11 settembre 1683: Recensione

Mamma! li turchi!

Renzo Martinelli, regista fortemente schierato in politica, è convinto che il cristianesimo sia a rischio estinzione (non è l'unico in effetti, in Europa chiudono le chiese e aprono sempre più moschee). Per divulgare la sua tesi ha girato un film su un altro drammatico 11 settembre, quello del 1683 (discutibile la sottolineatura di un legame ideale con l'11 settembre delle Twin Towers a puro uso di marketing, dissentiamo), data fatale che ha visto la sconfitta dell'Impero ottomano dopo due mesi di assedio a Vienna, nonostante la loro palese superiorità numerica (140.000 infedeli contro circa 80.000 cristiani). La vittoria fu determinata dall'intervento in extremis del lungimirante re polacco Sobieski, mentre Leopoldo I, Imperatore d'Austria era riparato a Passavia per coordinare l'attività diplomatica indispensabile alle alleanze.


Fino alla fine fu assai incerta la posizione della cattolica Francia di Lugi IV, che si teneva defilata per giochi politici, nella speranza di un indebolimento dell'Austria (Luigi fu poi costretto a prendere posizione dal papa Innocenzo XI). La vittoria segna l'inizio della fine della penetrazione ottomana in Europa. Di tutto questo intricato momento storico (come spesso sono i momenti storici importanti) nel film ci viene spiegato pochissimo, perché il regista, che ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Valerio Massimo Manfredi, sceglie di farne una specie di duello a distanza fra un "buono" e un "cattivo". Il "buono" è il frate cappuccino Marco d'Aviano (F. Murray Abraham), noto predicatore in italiano, latino e tedesco, già in odore di santità causa presunti miracoli (dichiarato beato da Giovanni Paolo II nel 2003). Uomo di fede incrollabile e di costanza sovrumana, fu capace di riunificare le litigiose potenze europee contro il comune nemico, incaricato proprio da Innocenzo XI per ricreare la Lega Santa. Il "cattivo" si incarna nel Gran Vizir Karà Mustafà (Enrico Lo Verso), anche lui uomo di fede, la sua ovviamente, a capo di un esercito sterminato che però soccomberà alle più astute tattiche nemiche anche per defezione degli alleati tartari, oltre che per suoi errori tattici (un altro che sognava di "abbeverare i cavalli alle fontane di San Pietro"). Anche se la narrazione è eccessivamente semplificata dal punto di vista storico, il discorso di Martinelli tutto sommato non è particolarmente fazioso, nessuno dubita che sia stato meglio non diventare tutti mussulmani (sarebbe divertente una simulazione storica a riguardo), anche il nemico turco è rappresentato con un certo rispetto e non si macchia di efferatezze plateali. L'unico personaggio negativo, la solita serpe in seno rappresentata da un turco integrato che però tradisce, alla fine quasi si riscatta. I regnanti austriaci sono imbelli e classisti, del resto dell'alleanza si danno cenni troppo rapidi. Le scelte narrative riescono a minimizzare anche l'eroe cristiano, personaggio davvero interessante, religioso incaricato dal Papa per mettere d'accordo i riottosi regnanti cristiani, uomo che continuerà a tessere i suoi disegni diplomatici contro i turchi per più di dieci anni ancora, fino alla sua morte nel 1699, data della Pace di Karlowitz (il Gran Vizir è da semplice figurina). Non è però la sostanza del film a essere meritevole di giudizio negativo quanto proprio la forma, che in Barbarossa era più curata. Martinelli reclamizza sempre le difficoltà produttive di cui sembra compiacersi, convinto sinceramente di essere un personaggio "scomodo". Ma la Rai lo ha finanziato per una cifra consistente (citiamo notizie apparse in rete), anche se poi Rai Cinema ha passato la mano a Microcinema per la distribuzione, e si limiterà a mandare in onda in futuro la versione lunga 200 minuti (quella cinematografica è di 113). Altri soldi sono arrivati dal ministero ai Beni culturali, altri da vari contributi pubblici: Film Commission di Friuli Venezia Giulia e Piemonte. L'impaginazione di 11 settembre 1683 è quanto di più tradizionale si possa immaginare, lo stile visivo è antiquato, con un'estetica da sceneggiato tv d'altri tempi (quegli slow motion retorici con le criniere dei cavalli svolazzanti e i mantelli gonfi di vento), la recitazione è ai minimi sindacali mentre si enunciano frasi prevedibili e retoriche (e l'insopprimibile sicilianità del pur bell'Enrico Lo Verso non aiuta). Il famoso regista Jerzy Skolimowski nei panni di Sobieski si limita a comparire. Del tutto irrilevante è il personaggio della donna muta, affidato alla figlia del regista, Federica (forse che è l'amore cieco la chiave dell'integrazione?). Quanto a giudizio negativo infine, un discorso a parte lo meritano i famosi effetti speciali di cui Martinelli adora rivestire i suoi film (si dichiarano 2320 inquadrature "lavorate" con CG), che però sono davvero irrimediabilmente imbarazzanti: edifici che sembrano ancora in attesa della prima texture, panorami spesso sfumati da nebbie e fumi per camuffare i limiti dell'esecuzione, esplosioni e schizzate di sangue che sembrano applicate con una pecetta. Sapendo che il budget a disposizione non permetteva più di tanto, non sarebbe stato meglio optare per altre soluzioni? Ma il mito del kolossal incombe e il regista non sa sottrarsi una volta di più all'imitazione del modello americano anni '50.

Giudizio

  • Imbarazzante
  • 5/10