The Beguiled – L’inganno
Non entrare in quella casa
di Giuliana Molteni •
Sembra un luogo idilliaco la bella villa neoclassica che sorge nelle campagne della Virginia. Dentro, in una specie di Arcadia, Martha (Kidman) dirige una scuola per fanciulle in fiore, da instradare sulla retta via, colte, giudiziose, di buone maniere, pronte per l’ingresso nell’alta società. Ma siamo nel 1863 durante la guerra civile e i cannoni rimbombano in continuazione e il fumo delle esplosioni è sempre più vicino. La dimora è assediata dall’orrore, che Martha cerca di tenere fuori dagli occhi delle fanciulle, coadiuvata dalla sottomessa Edwina (Dunst).
Una delle cinque ragazze rimaste nella casa, ridotta a rifugio, mentre cerca cibo nella boscaglia trova un uomo, un soldato nordista (Farrell), ferito a una gamba. L’uomo è disperato, umile, implora aiuto. La carità cristiana impone di aiutarlo, ma l’ingresso di un maschio nel variegato gineceo non potrà non avere esisti dirompenti. Gli equilibri si spostano, le donne (le femmine) reagiscono in modo diverso a questa inaspettata intrusione che le distrae da una realtà angosciosa (da una vita opprimente anche in tempo di pace). L’uomo (il maschio) cerca di ingraziarsi tutte, perché la sua vita dipende da loro, dalla loro ospitalità, si propone come giardiniere (metaforicamente, per tenere sotto controllo la lussureggiante vegetazione che cerca di mangiarsi l’orto, la casa). Tutti faranno gravissimi errori di valutazione, qualcuno pagherà più di altri le conseguenze. Il film diretto da Sofia Coppola, tratto dal romanzo di Thomas Cullinan del 1966, è il remake di La notte brava del soldato Jonathan (The Beguiled, come questo remake), diretto nel lontano 1971 da Don Siegel e interpretato da uno splendido Clint Eastwood. E il confronto è impietoso. Ha senso un’operazione come questa che edulcora del tutto il soggetto originale, sia libro che film? Noi non riusciamo a vederne il motivo.
Questa versione soffre di tutti i vezzi (o le virtù) di questa blasonata, forse troppo fortunata regista, alla quale certa critica innamorata attribuisce doti eccessive, leggendo nei suoi trattamenti anche più di quanto ci sia realmente. Coppola come regista e sceneggiatrice mette in scena una serie di personaggi non degnamente approfonditi, pallide figurine rispetto agli originali (sprecando così un ottimo cast), facendo perdere alla storia tutta la sua angosciosa cupezza, tutta l’ansiogena tensione. Un esercizio di stile che comunque soddisferà i suoi fan, confermando che talvolta nei suoi film la forma prevale sul contenuto. La descrizione dei moventi singoli e di gruppo è insufficiente, la tensione sessuale latita, il gioco di potere fra l’uomo e la direttrice è sfumato. Molto più ricca la narrazione originale di allusioni politico/sociali (ma erano gli anni ‘60/70) ma anche se si volesse cercare qualche altro significato “femminista” nella storia, ci sembra un volonteroso ma vano tentativo. E non si parli di “solidarietà femminile” perché anche nel Gruppo vigono rapporti di forza, di inferiorità gerarchica. Il cancello che si richiude sulla solitudine del Gruppo basterà a tenere fuori l’orrore della guerra che avanza? Della vita che comunque farà stragi? Degli uomini che le prenderanno e le allontaneranno? Non dice niente il loro algido rientro nei ranghi, rimettendo tutto a posto, come la polvere sotto al tappeto dopo una festa di cui ci si vergogna un po’, per essersi abbandonate a comportamenti imbarazzanti (metafora di una comunità chiusa su se stessa che al contatto con un elemento estraneo perde le sue regole e impazzisce).
Spento Colin Farrell, il troppo ben educato caporale che commette una grave mancanza di galateo che risulta ancora più incongrua visto come viene descritto (l’uomo non sembra mai un rozzo). Nicole Kidman sguazza nella sua rigida Martha, con i suoi estetici sudori che appena spettinano la sua perfezione, meglio la remissiva, vinta Edwina di Kirsten Dunst. Le altre ragazze sono tutte ben scelte, soprattutto la “gatta morta” Elle Fanning. Bellissima fotografia, opera di Philippe Le Sourd, alla soffusa luce delle candele. Bei costumi (sempre fin troppo impeccabili), belle musiche di Laura Karpman Phoenix (che riprendono Monteverdi), ma non bastano a fare un bel film.
Tiepidissimo, insapore
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