Borg McEnroe
Sometimes You Win, Sometimes You Lose
Ogni sport ha avuto i suoi momenti d’oro, uno di questi è il tennis che non manca nemmeno oggi di grandissimi e degni protagonisti (pensiamo a Federer, Nadal, Djolkovic). Ma fra gli anni ’70 e ’80 ha prodotto una quantità di personaggi davvero indimenticabili, di quelli che piace definire vere e proprie Rockstar. Erano forse ancora gli anni dell’innocenza, pre-internet e si badava più alla sostanza che alla forma. E lì, fra Agassi, Borg, McEnroe, Connor, Gerulaitis, Fleming, Nastase, anche il nostro Panatta, di sostanza ce n’era a paccate, sia sul campo sportivo che fuori. Il bel film Borg McEnroe, diretto dal danese Janus Metz, racconta un frammento di quegli anni ruggenti, il match che nel luglio del 1980 a Wimbledon ha visto contrapposti Borg, 24 anni, vincitore già di 4 tornei di fila, e McEnroe di 21, a insidiargli il primato. Un incontro passato alla storia e non solo per le quasi quattro ore di durata. Per essere la “solita” cronaca di un evento sportivo dall’esito noto, il film riesce a coinvolgere e incredibilmente a emozionare, mentre con brevi flashback intervallati ai match di eliminazione che porteranno i due al lungo scontro finale, racconta sobriamente i due caratteri. Che erano lontanissimi, per molti versi opposti, entrambi diversamente disturbati perché l’eccezionalità spesso si associa a personalità borderline: maniacale, introverso e metodico l’uno, sboccato, collerico, aggressivo il secondo.
Parte del merito della riuscita va anche alla scelta dei due interpreti, Sverrir Gudnason, forse selezionato per la somiglianza con il vero Borg, che riesce però toccante nella sua chiusura a guscio contro emozioni e intrusioni, portatrice di grande infelicità. Uno che per le folle era facile amare, così come era un godimento odiare McEnroe, che è affidato a un sorprendente Shia LaBeouf che in fonda fa un po’ se stesso, il ragazzo cattivo che si comporta male, che insulta e offende l’establishment. Stellan Skarsgård si cala nei panni del “padre” putativo di Borg, Lennart Bergelin, ex capitano della squadra svedese di Coppa Davis, che si era annullato nel compito di portare al successo il suo pupillo. Borg ragazzino è bene interpretato da Leo Borg, vero figlio del mitico tennista. Nel film, che si apre su una frase tratta dalla biografia di Agassi (da recuperare per chi non l’avesse ancora letta), “ogni partita di tennis è una vita in miniatura”, è a Borg che si attribuisce una bella battuta, che vale in tanti altri campi della vita: puoi anche avere vinto quattro Wimbledon, ma sarai ricordato per il quinto che hai perso.
Una partita, due vite
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