Più un film di denuncia storica e politica che un vero e proprio melodramma, è questo Dawson Isla 10, film in concorso alla quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dal regista Miguel Littin.
Nell’11 settembre del 1973 il capo di governo Salvador Allende viene ucciso durante un colpo di Stato, a seguito del quale Pinochet instaura il regime militare. Tutte le figure di spicco del governo destituito vengono deportate sull’isola di Dawson dove aspetta loro la reclusione in un vero e proprio campo di concentramento. Ma anche su quell’isola, in qualche modo, gli insegnamenti di umanità e fratellanza di Allende riusciranno ad emergere…
La partecipazione emotiva al progetto Dawson Isla 10 si sente tutta quanta, ed emerge prepotentemente dal film di Miguel Littin. Grazie anche alla ricchezza di personaggi e caratteri che troviamo nel cast e ad accoglierci sull’isola (sia tra i prigionieri che tra i militari), Attin riesce a coinvolgere lo spettatore e a suscitare qualche emozione di pietà e commozione. Purtroppo però, il film risulta allo stesso tempo troppo prolisso e vagamente confuso sul piano delle intenzioni. Causa la sceneggiatura ambiziosa e priva di un vero e proprio punto di riferimento. Troppe le storie da seguire, forse anche troppi i personaggi presentati (malgrado tutti ben caratterizzati). Manca la spina dorsale. Manca un filo conduttore, una trama principale da seguire. Invece lo script vaga “a tema libero” da uno spunto a un altro, da una critica sociale e storica a temi come l’uguaglianza e l’amicizia, la condivisione degli spazi e la rinascita culturale. Buone le intenzioni, insomma, ma confusa (e lenta) la realizzazione finale.
Il film, così si cristallizza e rimane immobile, malgrado la corsa finale dei protagonisti verso una libertà che continua a rimanere solo idealizzata, e mai raggiunta. Ispirato a una storia vera.
Il film si sgretola, senza un'ossatura forte a sostenerlo
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