Valerian e la città dei mille pianeti
Una futuristica fiaba retrò
di Giuliana Molteni •
C’è una stazione spaziale che ruota nel grande vuoto da centinaia di anni, divenuta un gigantesco agglomerato di popoli. Ci sono due giovani, coraggiosi agenti governativi spazio-temporali, lui un simpatico mascalzone con una fidanzata in ogni approdo, lei una bellissima, tostissima pilota. Lui la corteggia, lei lo respinge, in un gioco di cui entrambi sono coscienti. E c’è un’antica civiltà di filiformi creature opalescenti che vive su candide spiagge sull’orlo di un azzurrissimo oceano. E un Generale cattivissimo, che vuole compiere nuove stragi per coprire le altre già commesse. Ci sono astronavi fantasiose e molteplici mondi di strabiliante varietà, abitati da creature dalle forme più bizzarre. C’è una missione da compiere per salvare l’agglomerato, divenuto Alpha, la città dei mille pianeti, dalla illimitata integrazione.
La storia è tratta dal fumetto Valerian et Laureline, scritto da Pierre Christian e disegnata dal mitico Jean Claude Mézièrs, che essendo stato scritto a partire dal 1967 (per arrivare fino al 2010). Ne è stato tratto anche una sorta di instant book scritto da Christie Golden, a partire dalla sceneggiatura originale che è, insieme alla regia, di Luc Besson, che ha amato la saga fin dagli esordi e lungamente meditato sulla trasposizione cinematografica. I mondi, le creature sono strabilianti ma alla maggior parte del pubblico privo di adeguate informazioni sembreranno derivativi, una copia/citazione di decine di film a partire ovviamente da Star Wars, mentre il fumetto originale è antecedente, fonte di ispirazione chissà per quanti autori di film e videogames, coscientemente o meno, compreso George Lucas, e anche per lo stesso regista nel suo Il quinto elemento (spira anche qualcosa di Flash Gordon il film). Quanto ai contenuti si butta dentro un po’ di tutto, tanto per gradire, anche una battuta sull’identità, forse per fare contenti i LGBT. Poi, volendo, c’è il discorso ecologico e quello sulla violenza della razza umana e sullo sterminio delle minoranze etniche (tutte cose presenti nel fumetto nato in ben altri anni). E naturalmente sull’accettazione/integrazione. Ma restano nascosti dalla fastosità del contenitore. Dan DeHaan, che è un bel ragazzo dallo sguardo intenso, si sforza di fare il simpatico ed eroico avventuriero ma non ha il pysique du rôle, sarebbe stato un ruolo perfetto per un Tom Cruise giovane. Cara Delevigne è molto bella e recita decorosamente (abbiamo visto il film in originale), certo non peggio di molte giovani colleghe al suo livello. In una scena “je mena” lungamente a Cliwe Owen, che fa il generale guerrafondaio. La cosa migliore del film (ma dura poco) è la comparsata di Rihanna, di bellezza davvero spaziale, anche grazie a costumi e CG, che interpreta una specie di tenera mutante, asservita come fenomeno da baraccone a un quasi irriconoscibile Ethan Hawke, che purtroppo anche lui sparisce subito, così come Rutger Hauer, che dice quattro frasi all’inizio e poi addio. Bello l’incipit, sulle note sempre bellissime di Space Oddity di Bowie (scelta però scontata), con il susseguirsi di incontri fra terrestri e avamposti di diverse civiltà, decenni dopo decenni con razze sempre più diverse (molto Star Trek), un messaggio di pace e tolleranza, di accettazione del “diverso” che si snoda lungo 400 anni, messo a rischio dal solito militare folle.
E fascinoso il Big Market, luogo del genere “i peggiori bar di Panama”, mondo parallelo e visibile solo indossando speciali occhiali. In tutta la lunga e complessa narrazione, che dura ben 137 minuti, non c’è un momento che appassioni, che incuriosisca, manca ogni tensione di ogni genere. Si assiste passivamente al complicato svolgersi della vicenda, sovrastati dalla confezione, ma senza che mai “l’effetto Wow” compensi le manchevolezze della storia. Che ci mette troppo ad arrivare alla soluzione del mistero quando ormai l’attenzione si è persa fra i mondi favolosi e splendidamente resi da Besson grazie al budget di oltre 200 milioni di dollari, spesi in gran parte per il lavoro eccelso di Weta, ILM e Rodeo FX. Ma nel cuore non resta nulla.
Bello, poco appassionante, tardivo
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