Unsane
Chi è sano scagli la prima pietra
Ma cos’è la giovane donna Sawyer Valentini, è una insane (folle) o unsane come da titolo, cioè più semplicemente non-sana (chi oggi può serenamente definirsi tale)? Sawyer sembra una ragazza come tante, carina, professionalmente preparata (è un’algida analista finanziaria), lavora e vive da sola lontano dalla madre, si intuiscono disagi molto attuali, una costruzione di artificioso benessere. Perchè Sawyer un danneggiamento lo ha subito, in passato è stata vittima di uno stalker da cui è fuggita cambiando città. E quando si reca da una psicologa per un colloquio, finisce invece ricoverata a forza in una struttura dove poco per volta si comporta da vera pazza, convinta per di più di riconoscere fra il personale proprio il suo persecutore. Intontita di medicine, senza possibilità di contattare l’esterno, si convince di essere finita in una terribile macchinazione. Riesce a chiedere aiuto alla madre lontana che si precipita nella clinica ma si trova davanti un muro burocratico. Un altro paziente la aiuta, un personaggio troppo buono per essere vero, ambiguo come lo è tutto l’impianto, tutti i personaggi, così da lasciare costantemente in dubbio lo spettatore, così come anche la protagonista sembra a tratti dubitare della sua affermata lucidità mentale. Questa efficacissima sospensione inquieta proprio perché lascia nel mezzo, un colpo al cerchio e uno alla botte nell’opinione che ci si costruisce sulla protagonista, sulla situazione in generale. Ma nell’ultima mezz’ora il gioco si fa chiaro e capiremo quanto Sawyer sia unsane o se il suo stalker sia davvero un diabolico mostro. E capiremo anche se la storia voglia dire qualcosa di diverso, di più, sul fallimento di un sistema che fornisce molti consigli per rendere la vittima capace di difendersi autonomamente, nella consapevolezza di non avere gli strumenti per poterla realmente proteggere. In un film semplice eppure riuscitissimo come questo, pare quasi superfluo nominare gli interpreti, ma fra comprimari tutti accuratamente scelti, spiccano i due protagonisti, la sempre ambigua Claire Foy (The Crown) e l’inquietante Joshua Leonard (lunga e varia carriera dai tempi di The Blair Witch Project). Nel ruolo della madre si rivede Amy Irving. Girato con un iPhone 7 al posto della telecamera, con costi contenutissimi (compare anche in un cameo Matt Damon a conferma che quando Soderbergh chiama, tutti rispondono), il film si è finanziato con la prevendita anche dei diritti televisivi e di streaming. Il regista, come suo vezzo, è anche responsabile di fotografia e montaggio, sotto pseudonimo. Unsane è la conferma che quando si ha una buona storia e si sa come raccontarla, non c’è bisogno di mila milioni di dollari per fare un buon film. Perché Unsane è riuscito come thriller psicologico (che rimanda nella prima parte a molti illustri predecessori quali La fossa dei serpenti e Angoscia, entrambi titoli degli anni ’40). Ma funziona benissimo anche come thriller puro e semplice e come ciliegina sulla torta anche come denuncia di un sistema a ogni livello incapace, corrotto, corruttibile, come già nel suo precedente Side Effects. I danni si ramificano si propagano. Quanti Un-sane ci possiamo trovare vicini di tavolo al ristorante senza immaginarlo?
ottimo
8