Un sogno chiamato Florida
Un sogno corto un giorno…
di Giuliana Molteni •
Come si può essere infelici e miserabili a Orlando, Florida, sotto il sole e vicino al mare, in mezzo a centri commerciali, locali e chioschi dalle sagome fantasiose, dai colori brillanti, dalle insegne Disneyane, pupazzoni allegri, cupcakes e frutti dai colori brillanti ovunque? Se non ci riesci è colpa tua ovviamente, che non ci hai provato abbastanza, che non ti sei impegnato, che adesso pretenderesti aiuto, comprensione. Gli alberghi e i negozi hanno nomi ingannevoli, Magic Castle e Futureland, che promettono chissà quali delizie e tutto è dipinto accuratamente di delicati colori pastello. Se non c’è edilizia popolare (ma le banche lasciano marcire interi quartieri di villette, colori pastello pure loro, da cui hanno cacciato la classe media in crisi economica), si finisce nei motel a prezzi popolari. In uno di questi, delle fiabesche sfumature lilla, vive la piccola Moone, con i suoi amichetti, tutti sui 6/7 anni. Le madri sono tutte single, qualcuna si arrabatta di più, altre tirano a campare senza voler vedere la cura discendente che le attende. I bambini, che nel letame vedono i fiori, per parafrasare De Andrè, fanno gioco con quello che hanno a disposizione, i vicoli, gli angoli ciechi, i sottoscala, gli stentati praticelli di fianco alle provinciali, i fossati, le tavole calde più tristi, con quella capacità auto protettiva di non vedere la bassezza, la bruttezza. Sono già precocemente predatori, pur con la leggerezza da bimbi piccolissimi nei confronti di un mondo globalmente ostile, che esiste solo per opprimere e che va saccheggiato, irriso imbrogliato, provocato, sfidato, appena si apre lo spiraglio, con una sguaiataggine che è difesa contro un mondo che li disprezza, già consci di esserne banditi (ma chi disprezza vorrebbe comprare). Troppo simile ai bambini è la madre di Moone, la giovanissima Halley, ragazza perduta che potrebbe finire nel gruppo di American Honey, altro film indie di Andrea Arnold, che illustrava con documentaristica precisione un mondo di disperati che non si riconoscono come tali, che si sta allargando sempre più e le cui devastanti conseguenze si vedranno nelle generazioni che da loro discenderanno. Anche l’atroce giovane mamma sarà stata un giorno una piccina come oggi è Moone, forse anche un po’ meglio ma la discesa è senza speranza, se si passano le giornate a letto a guardare televendite e reality trash. Bobby è il manager, un modesto impiegato che però si impegna, che cerca di mantenere una parvenza di civiltà, di ordine, di efficienza, che ritocca la facciata per arginare i segni del degrado, che sgrida, controlla ma anche protegge. Per Halley, un errore dopo l’altro, la discesa inizia, le cose peggiorano lentamente, il fragile castello della sua vita e della sua bambina collassa. I servizi sociali arrivano a disastro compiuto, a devastare ancora di più, inutili emissari di un paese che non ha fatto nulla per gli ultimi lasciandoli scivolare sempre più in basso, crescendo figli che sono incapaci di accudire e che nessun salto sociale mai raggiungerà. Di incredibile bravura, totalmente naturali e spontanei i bambini (peccato vedere il film doppiato), Dafoe è una figura che resterà nella memoria, così buono che è l’unico a sembrare “di finzione” in mezzo ad altri che sembrano semplicemente se stessi. Una rivelazione Bria Vinaite, scoperta per caso dal regista sul web. Sam Baker dopo l’interessante Tangerine, girato per le periferie di Los Angeles con un i Phone, dirige un film che mette in scena una reiterazione di momenti simili, quasi con monotonia (i giochi dei bimbi, le avventure quotidiane di sopravvivenza, gli scazzi con il manager), tutto con una leggerezza assolutoria che potrebbe quasi irritare. Ma si stringe addosso allo spettatore progressivamente, quasi opprimendolo, e trova un suo abbagliante nucleo finale, in cui il discorso di Baker risplende e colpisce al cuore, un finale non banale che definitivamente suggello tutta la falsità del messaggio, dell’imbroglio che tutti hanno inghiottito, lusingati dalle sirene televisive, dove tutto è facile, dove tu vinci, perché tu vali: la magia, il Sogno la promessa per tutti, mentre è solo per pochissimi.
Ogni cosa è pastello
8