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Tutti i soldi del modo

Non per i soldi, per il potere

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Sono forse uguali i ricchi e i poveri? Domanda retorica, certo che no. Figurarsi se parliamo di Jean Paul Getty (1892/1976), definito a suo tempo l’uomo più ricco del mondo. Petroliere convinto di essere discendente dell’Imperatore Adriano, con la passione per le opere d’arte di cui era instancabile collezionista, del tutto indifferente all’origine legale o meno dei reperti, molti matrimoni, molti divorzi, molti figli e nipoti tutti trascurati. Nel 1973, storia notissima, gli viene rapito a Roma il nipote, adolescente nato dal matrimonio fra un figlio fannullone e drogato ed Abigail Harris, l’onesta figlia di un giudice federale americano.

La storia è nota, taglio dell’orecchio incluso, perché il vecchio si rifiutava di pagare i 17 milioni di dollari sparati come richiesta, scesi poi a 7 poi a cifre più ragionevoli. Per un comune mortale, mai per il miliardario (in dollari). Signora mia, i soldi quando sono tanti, troppi, rovinano tutto ciò che toccano. Il film fa di Getty nonno (Christopher Plummer) un miserabile taccagno, riccastro detestabile come mai è stato Paperon De’ Paperoni, un ritratto di grande durezza che potrebbe irritare (chissà) la potente famiglia. Il film diretto da Ridley Scott, con professionale indifferenza, è tratto dal libro Painfully Rich, del 1995, scritto da John Pearson, la cui sceneggiatura di David Scarpa, uomo dai pochi crediti cinematografici, giaceva da anni nella cosiddetta Black List. Poteva restarci. Scott racconta un episodio realmente avvenuto e non secoli fa, prendendosi non poche libertà rispetto a quanto avvenuto, che trattandosi di un caso arcinoto, è peccato non da poco. Inoltre procede per tesi, e con l’accetta quanto alla caratterizzazione dei personaggi, un terzetto di luoghi comuni, di abusati cliché, il vecchio ricco e arido, la mamma povera che palpita, l’ex agente freddo e cinico che però si intenerisce, mettendo in bocca al vecchio battute di lapidario cinismo, con dialoghi in generale non all’altezza nemmeno di una serie tv di qualità medio/bassa. Mark Wahlberg fa l’uomo di fiducia, il prezzolato tuttofare, ex agente CIA che però non ha scordato del tutto i suoi principi morali.

Michelle Williams è l’onesta e virtuosa madre-coraggio, che mai si dispera e per questo non piace alla stampa (e poco anche allo spettatore), che schifa i soldi finché non può farne a meno. In questo aderente alla realtà, perché la donna aveva rinunciato agli alimenti in cambio dell’affidamento dei figli per sottrarli alla nefasta famiglia. Il giovane Charlie Plummer (nessuna parentela con l’anziano attore) fa la faccina spaurita (ma nella realtà non era uno stinco di santo). La Polizia italiana fa come sempre mediocre figura, i rapitori sono orrendi individui sia che appartengano alla ‘ Ndrangheta sia alla successiva poco chiara organizzazione criminale cui viene rivenduto l’ostaggio ormai decotto. Non ci capisce perché ficcare a forza un “cattivo” meno disumano degli altri, affidandolo a uno sprecatissimo Romain Duris. Improbabili e arbitrarie anche altre ricostruzioni ambientali (l’attacco alla masseria) e sociali (l’esilarante incontro con le nostre Brigate Rosse inizialmente sospettate di essere responsabili del colpo). Chissà come era la versione originale (abbiamo visto il film già doppiato, ma è quello che si sorbirà lo spettatore), meglio sicuramente perché la versione italiana rende poco plausibili i dialoghi (ma in che lingua avranno mai parlato Getty Jr e il rapitore calabrese? Non certo nel forbito italiano del doppiaggio). Visto il noto incidente di percorso, relativo a Kevin Spacey, e visto che il malvagio Getty è presente in circa tre quarti delle scene, rifarle tutte con Plummer non deve essere costato poco. Si dice 10 milioni di dollari per più di venti sequenze. Ne valeva la pena? Al botteghino l’ardua sentenza. Sul caso è in arrivo anche Trust, una serie tv, diretta da Danny Boyle, speriamo migliore.
 

Banale

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