Thor: Ragnarok
La rivincita dei Revengers
di Giuliana Molteni •
Ci sono film che inevitabilmente scontentano una parte del pubblico che li va a vedere. E non solo quando si parla di cose serie ma anche e forse di più quanto si tratta di argomenti più frivoli, come ad esempio i supereroi (e già a questo aggettivo, gente si inalbera). In generale, scene d’azione a parte, c’è chi si attende una versione di drammatico e/o pensoso indirizzo, chi invece si esalta per le parentesi umoristiche. Che negli ultimi film Marvel sono aumentate in modo esponenziale, supponiamo in base alla percezione di un certo gradimento da parte delle masse. Che, diranno i puristi, sono incolte e becere. Sono poi arrivati i Guardiani della Galassia, che con due film hanno definitivamente sancito la svolta comedy di queste storie.
Quindi l’ultimo film dedicato interamente solo a uno degli Avengers, Thor: Ragnarok, farà imbestialire i puristi e manderà invece a casa assai contenti gli altri, che troveranno una dose di ironia e humor in quantità più cospicua di sempre (forse a tratti anche troppa e di grana non finissima). Ma si ride davvero, a patto di accettare le regole del gioco. Che questa volta vede alla regia un personaggio anomalo, il neozelandese Taika Waititi, già autore di due piccoli cult surreali come Eagle vs Shark e What We Do in the Shadows, coadiuvato dagli sceneggiatori Eric Pearson (Agent Carter), Christopher Yost (già al lavoro su Thor: The Dark World con massicce dosi di autoironia), e Craig Kyle (alcune cose degli X Men). In questo segmento in solitaria, scopriamo dove era finito Thor privo dei suoi soliti compagni di avventura, dopo Age of Ultron. In un postaccio in effetti, dove viene a sapere che sul suo amato pianeta sta per abbattersi un’apocalisse che lo devasterà del tutto, il Ragnarok appunto (la battaglia finale fra luce e tenebre nella mitologia norrena). Ma non per mano del mostrone infuocato che si illude di averlo fatto prigioniero, ma a causa di Hela, la sua finora sconosciuta sorella maggiore, dal carattere così pestifero da essere stata tenuta imprigionata per tutti quegli anni dal padre Odino. Quando Thor scopre tutte queste beghe famigliari, è già troppo tardi. Infuriata come ogni cattivo che riesca a scappare dopo anni di segregazione, assetata di vendetta da consumare con sopraffina crudeltà, Hela si è già scatenata. Nel corso dell’avventura Thor finisce in un bizzarro pianeta governato da un sublime anche se macchiettistico dittatore (Jeff Goldblum in gran spolvero), dove incontra una futura anche se renitente alleata, un’eroica ex valchiria, traumatizzata da una strage delle sue consorelle proprio per mano di Hela. Insieme a Hulk (non spoileriamo nulla perché già trailer, sbagliando, ce l’hanno fatto vedere), all’immancabile infido Loki e a qualche nuovo alleato, dovrà evadere e salvare il suo pianeta. Per arrivare a capire che Asgard non è un grumo di terra nello spazio e nemmeno un insieme di aerei edifici e di splendidi panorami, ma è l’insieme del suo popolo ed è lì che si deve intervenire.
Potrebbe sembrare quasi un film “serio”, per quanto possa essere seria una favola/action come questa (e tutte le altre del genere), ma la regia di Waititi butta tutto un po’ “in caciara”, con mille battute spiritose, un ritmo impeccabile e situazioni comiche, spesso riuscite. Chris Hemsworth in versione montagna di muscoli si adegua di buon grado al tono da commedia brillante, anche se in alcune epiche scene tira sacrosante, grandissime mazzate. Con i capelli brutalmente scorciati (vedrete da chi) quasi come un novello Sansone, non perde però la sua forza, senza martello non perderà la fede in se stesso, senza qualcos’altro (qui non spoileriamo) resterà sempre il Dio del Tuono, anzi di più. Tom Hiddleston in veste sempre corvina e con completi in pelle assai chic, è ancora una volta l’adorabile Loki, sul quale si sa sempre di non poter contare, sul quale sempre si sa di poter contare. Il Grande Vecchio Anthony Hopkins misticheggia mentre si incammina per verdi pascoli. Tessa Thompson fa la valchiria in un ruolo che anni fa sarebbe andato a Michelle Rodriguez, prototipo di femmina indipendente, combattente e qui anche beona (ma è per affogare i dispiaceri). Cate-bellissima-Blanchett fa la maliarda di nazistica perfidia e si riavvia i capelli in un modo che manderà in visibilio il pubblico femminile. Karl Urban è il vanesio e inetto “guardiano di porta”, suscettibile però di evoluzione, che sostituisce Idris Elba che invece è diventato mistico capo della resistenza. Comparsata veloce di Benedict Cumberbatch, nei panni del Dottor Strange, con il suo immutato aplomb, e pure del regista, che è “dentro” un personaggio in CG. Hulk/Mark Ruffalo ci piace tanto quando ridiventa (faticosamente) Banner, con tutte le sue nevrosi e insicurezze. Musiche di un altro non abituale frequentatore di questo genere di storie, Mark Mothersbaugh, una carriera lunghissima, nato come Devo, autore di musiche anche per serie tv e videogiochi e numerosissime commedie, spesso a fianco di Wes Anderson. Impagabile anche se non originale l’uso di Immigrant Song dei Led Zeppelin (classe 1970 e non li soffre) durante i combattimenti di Thor. Come d’uso, due scene extra, a metà e alla fine dei titoli di coda. Thor Ragnarok è un tassello della grande saga Marvel che mira a un facile intrattenimento e ci riesce in pieno. Fa inoltre simpatia se non altro pensando a quanto farà arrabbiare i pensosi puristi che lo detesteranno.
Divertente, spettacolare
7