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The Silent Man

Quando una gola è profonda

di
Mai far arrabbiare un fedele servitore dello Stato. Questo era Martin Felt nel 1972—dopo 30 anni di carriera nell’FBI, fedelissimo Vice Direttore subito alle spalle del mitico (e nefasto) Edgar J. Hoover. Che muore e lascia scoperta la sua posizione, che sembrerebbe destinata al suo uomo ombra. E invece no. Perché era appena scoppiato lo scandalo Watergate, anzi non era scoppiato affatto perché immediatamente erano partite le manovre di depistaggio da parte di Nixon e di “tutti gli uomini del Presidente”. Un nuovo direttore esterno viene imposto, il Ministero della Giustizia si immischia, si immischiano pure uomini della CIA, tutti fanno pressioni, provando a bloccare l’FBI nelle sue indagini, attentando a quella sacralità in cui fermamente credeva Felt. Che ha reagito in un modo che andava contro ad ogni suo principio, spinto dal disgusto nei confronti di un sistema che vedeva sempre più marcio, più clientelare.
 Si prova quasi nostalgia per tempi in cui le cose succedevano, venivano denunciate e, miracolo, qualcosa succedeva. Come si dice nel film, “i presidenti passano, FBI e CIA rimangono”. E infatti Nixon aveva dovuto dare le sue dimissioni. Quanto alla rivalità fra FBI e CIA basta guardare la nuova serie tv The Looming Tower e c’è da sentirsi male.
The Silent Man ha un titolo italiano fuorviante perché troppo generico, l’originale era Martin Felt: The Man Who Brought Down the White House, come il libro da cui il film è tratto, scritto dallo stesso Felt insieme a John O’Connor, che avrebbe almeno costretto lo spettatore a chiedersi chi fosse questo Felt, personaggio del quale al massimo si ricorderanno gli ultra-sessantenni e per il puntuale soprannome che gli era stato affibbiato dai giornalisti del Washington Post. Il suo nome era tornato alla ribalta nel 2005 quando il ruolo di Felt era stato da lui stesso finalmente dichiarato. Si dirà però che il film è indirizzato a pubblico informato e pensante.
 
Ottimo Neeson, perfettamente calato nei panni di un personaggio discutibile, come sempre quando si parla di un servitore che volta le spalle al sistema restando al suo interno, per alcuni eroe, per altri spia informatore e basta.
L’interessante ricostruzione del caso, per dare forse maggiore spessore umano al personaggio, uomo freddo e controllatissimo, perde un poco ritmo nella descrizione di un dramma più intimo che Felt viveva, a causa della fuga della figlia che si era unita a una di quelle ambigue e pericolose comuni di cui erano costellati gli States in quegli anni. Nel resto del cast troviamo un’ottima selezione di volti notissimi fra cui Marton Csokas, Daine Lane, Michael C. Hall, Josh Lucas, Tony Goldwin, Tom Sizemore, Eddie Marsan, Kate Walsh, Noah Wyle, e altri ancora, anche in ruoli piccolissimi. Dirige e scrive Peter Landesman, ex giornalista investigativo anche in zone di guerra, oggi regista e sceneggiatore, che ricordiamo per La regola del gioco (sceneggiatura) e Zona d’ombra (Concussion) e Parkland (regia), con l’ausilio della bella fotografia di Adam Kimmel, con le sue claustrofobiche tonalità grigio-azzurre, perfette per un film girato soprattutto in opprimenti interni, le famose “stanze del potere”. Idealmente la visione di questo film va completata con il caposaldo Tutti gli uomini del Presidente, Nixon con Hopkins, The Final Days e Frost/Nixon, oltre che ovviamente con il recente The Post (Tom Hanks figura fra i produttori insieme a Ridley Scott). Ma ce ne sono molti altri inediti in Italia. Senza mai dimenticare lo storico La conversazione (Coppola 1974), per l’importanza sempre maggiore che le intercettazioni stavano prendendo.
 
 
 
 
 

istruttivo

7