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Nella tana dei lupi

Bad People

 In fondo è sempre una questione fra bande: la banda dei cattivi, i delinquenti, i malviventi; e la banda dei “buoni”, gli uomini di legge, i poliziotti. Che ogni tanto per necessità o proprio per disposizione d’animo, sono più cattivi dei “cattivi”. Cattivissimo, brutale, rozzo, violento è “Big Nick” O’Brien, Sceriffo della squadra Major Crimes della LAPD (a L.A. hanno il record di rapine in banca), che lavoro con un gruppetto di fedelissimi in simbiosi con il loro capo. Nick sta vivendo pure un pessimo momento personale (l’esasperata moglie sta divorziando), che cerca di attutire con bevute epiche e risse a ogni angolo. Si trova a indagare sulla rapina non a un furgone portavalori, ma proprio del furgone stesso, costata numerose vittime. Vista la conoscenza del territorio e dei suoi abitanti, Nick e i suoi si mettono subito alla ricerca del responsabile, senza immaginare che si stanno infilando nelle pieghe di un più vasto piano. Si dirà che La tana dei lupi, in originale Tana di ladri, Den of Thieves, sia un film derivativo nel senso che riprende noti titoli di riferimento nel genere, tentando ambiziosamente di replicarne struttura e atmosfere. È palese la propensione nei confronti di Michael Mann e del suo capolavoro Heat, con il concetto del “gruppo-famiglia”, di buoni o di cattivi non importa, tutti sono esseri umani ai quali ad un certo punto è successo qualcosa che li ha fatti piegare in una direzione o nell’altra. Ma anche la rapina ricorda La casa del papel, bella serie tv spagnola, e la ricostruzione finale con la piccola sorpresa ricorda il recentissimo Logan Lucky di Soderbergh. E come non pensare ai noir di David Ayer o al sottovalutato (e meglio riuscito) Codice 999. Scrive e dirige l’esordiente Christian Gudegast, già sceneggiatore di Il risolutore e Attacco al potere 2, ed ha pretese narrative superiori alle sue forze ma potrebbe fare anche strada, perché il film, troppo lento nell’avvio (ma lì si nota l’ambizione di fare una narrazione più completa) prende quota al momento della rapina e degli eventi successivi, con un’ottima sparatoria e un “codino” finale spiritoso che si adegua a quella tendenza dello spiegare in un attimo nella parte conclusiva qualche dettaglio rimasto in dubbio durante la narrazione. Il cast è funzionale alla storia, con un Gerard Butler volutamente sopra le righe come il suo autodistruttivo personaggio, ben scelte le facce (note) dei suoi commilitoni, il suo “doppelgänger” negativo è il sempre valido Pablo Schreiber (American Gods, 13 Hours), affiancato da 50 Cents e O’Shea Jackson Junior, figlio di Ice Cube (somiglianza impressionante). Colonna sonora di Cliff Martinez e si fa notare. Ambientazione interessante, in quelle piatte periferie losangeline, terre di nessuno troppo lontane delle splendenti torri della Downtown. E’ in cantiere un sequel e non ci dispiace affatto.

machissimo

7