Kingsman: Il cerchio d’oro
La strana Camelot
di Giuliana Molteni •
Nel 2014 il regista Matthew Vaughn, dopo Kick Ass e X-Men L’inizio, ha diretto Kingsman, tratto dalla miniserie a fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons The Secret Service, per allora esperimento ancora abbastanza originale di commistione di generi, la commedia pulp, con spunti di humor all’inglese, venature sentimentali e rimandi a tutto un immaginario spionistico che non può non ricordare il mitico 007, il tutto girato con iperboliche sequenze d’azione. Qui la nostra recensione di allora.
Si tratta di un modo di narrare non affettuosamente parodistico, alla Edgar Wright, ma più citazionista (sempre affettuosamente), pervaso dallo spirito di tempi più attuali, post-tarantiniani forse. Il pubblico a suo tempo non ha risposto bene, almeno in Italia, vista forse l’incertezza di catalogazione del lavoro. Vedremo come reagirà adesso al secondo episodio di quella che sembra annunciarsi come una serie. Ritroviamo i Kingsman, gli “uomini del Re”, con i loro nomi presi dalla saga di Artù, decimati dopo un violentissimo attacco simultaneo. La cattiva dietro la feroce macchinazione è una Signora della droga, che sta imbastendo un diabolico ricatto su scala mondiale che mira alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti (che sembrerebbe una contraddizione). Ma il Presidente degli Stati Uniti è più folle di lei e non gli sembra vero di avere la scusa per lasciar defungere tutti i drogati del mondo. In questo arduo compito i vecchi personaggi saranno coadiuvati da una loro speculare agenzia americana, la Statesman, che ci cela all’interno di una storica distilleria del Kentucky, invece che dietro una raffinata sartoria londinese. E i “modi che li definiscono” confermano l’abisso che divide inglesi da americani. Il che offre il pretesto per allargare il cerchio con l’inserimento nel cast di Channing Tatum (che si lascia sempre prendere affettuosamente in giro), di Halle Berry (nuovo personaggio femminile), Pedro Pascal (notissimo dopo Game of Thrones e Narcos) e di Jeff Bridges, capo sezione alquanto alcolico ma sempre ricco di carisma, nomi di tale peso da far intuire l’intenzione di andare avanti nella stessa direzione.
Lo stile narrativo sembra rivolto a un pubblico giovane, più elastico per quanto riguarda i generi, mentre la scelta del cast va nella direzione opposta, ammiccando a un pubblico più adulto. Se nel primo episodio oltre a Colin Firth avevamo Samuel L. Jackson e Michael Caine, qui quanto a cast “adulto” ci ritroviamo la rossa Julianne Moore, mentre si conferma ottimo protagonista l’ancora poco noto Taron Edgerton. Inattesa e delirante partecipazione (una specie di lungo, folle cameo) di Elton John. Quindi Vaughn procede nel suo esperimento, indirizzando il suo film a un pubblico trasversale, confidando in un’audience in grado di apprezzare la varietà di generi brillantemente mixati, con sequenze di combattimento, lotte, sparatorie vertiginose, battute spassose, situazioni surreali e ironiche (e auto-ironiche) e anche, perché no, un po’ di sentimento. Tutti questi fattori fanno di questo episodio, pur inferiore al primo forse per eccesso di accumulo e per mancanza dell’elemento sorpresa, un bel film di intrattenimento del tutto godibile.
una divertente pulp-comedy bis
7