Io sono Tempesta
Nomen Omen
di Giuliana Molteni •
Fa Tempesta di cognome il miliardario finanziere/imprenditore/ affarista, un Paperone che di nome si chiama Numa (come Pompilio, secondo re di Roma). Segno che forse qualche ambizione su di lui l’aveva riflessa il padre, un fallito che però poi aveva considerato il figlio una nullità, chiamandolo “coglione” per tutta l’infanzia. Cosa che ha fatto danni, provocando nell’uomo uno smisurato bisogno di rivalsa e una totale anaffettività. La ricchezza lo ha isolato ancora di più, perché troppi soldi richiedono un’attenzione esclusiva e attirano personaggi poco interessati ai sentimenti veri. Tempesta passa le sue notti insonni in un gigantesco hotel di sua proprietà, unico ospite della struttura, a tessere trame, a rinsaldare contatti, a organizzare meeting. Mentre è impegnato in un colossale affare in Kazakistan, un fulmine si abbatte su di lui, stile Berlusconi. Una condanna arriva alla fine di ogni possibile rinvio e cavillo e a Tempesta tocca scontare la pena: non la galera, ma un anno ai servizi sociali in un centro che si occupa di senzatetto, di disoccupati rimasti senza niente, di immigrati senza possibilità di lavorare. Nell’umanità varia che incontra, c’è qualcuno che sembra essere proprio cronico, qualcuno invece, se si presentasse l’occasione favorevole, potrebbe anche salvarsi la vita. Questo è il caso di Bruno (Germano) che con il suo figlioletto appresso rifiuta di considerarsi finito. E un’occasione a lui e al gruppetto di meno disgraziati Tempesta la offre, non per bontà d’animo, ma perché ha bisogno della loro collaborazione per riuscire a portare a compimento il suo affare miliardario. Ha passato la vita a corrompere il mondo, facile farlo con dei poveracci che si accontentano di pochi euro. Insieme agli euro però qualcosa all’eterogeneo gruppetto Tempesta la passa, uno slancio, un’idea, un miraggio almeno. Sempre meglio di quello che ricevevano dalla pur volonterosa direttrice del centro di accoglienza, che fornisce cibo, docce e riparo e poi solo lunghe chiacchierate a piangersi addosso e inutili preghiere. Non è mai cattivo il nuovo film di Luchetti scritto insieme a Sandro Petraglia e Giulia Calenda, la satira è blanda, la farsa non è mai sguaiata. Ma riesce ugualmente (superficialmente) a divertire per le battute affidate a un Marco Giallini in formissima, calato con godimento nei panni di un uomo del tutto distaccato dal resto dell’umanità. Ma anche lui con un suo punto dolente. E grazie a Elio Germano, padre disperato dal frenetico ottimismo
(ottima scelta di cast per il suo figlioletto, che è il sempre attento Francesco Gheghi). E rende bene l’idea il gruppo di attori non professionisti scelti per il gruppo di bisognosi (mischiati ad altri professionisti), fra cui Franco Boccuccia, che con la sua bocca sdentata ricorda il mitico Carlo Pisacane. Spassoso anche il gruppetto di giovani escort a disposizione di un sempre più disinteressato Tempesta, ragazze che sembrano le Olgettine di berlusconiana memoria (anche loro lo fanno per studiare). Ci viene risparmiato il ravvedimento dello squalo e l’evoluzione del gruppo di sfigati è ovviamente favolistica, nessuno è davvero senza speranza, né il bieco capitalista né i poveracci. Tutti però hanno perso l’innocenza. Ma cosa è ai giorni nostri l’innocenza? Qualcuno se la può ancora permettere?
diverte
6