Il tuo ultimo sguardo
Amore e morte, si sa
di Giuliana Molteni •
Lui è un eroico medico senza frontiere, lei è figlia di altrettanto eroico medico votato alle sofferenze del mondo e per questo motivo da lui sempre trascurata. Si incontrano in uno dei posti peggiori del mondo, Liberia e Sierra Leone del 2003, lui sempre in cerca di disgraziati da salvare sotto le bombe e senza mezzi, lei ormai orfana che per trovare se stessa si è dedicata anima e corpo a proseguire l’attività del padre, con la sua associazione di aiuti nei paesi più devastati.
Scoppia la passione ma dura poco, troppi sono gli ostacoli, troppo atroce è lo scenario che li circonda. Dopo 10 anni si ritrovano, potrà andare diversamente, anche considerando che i due hanno intrapreso percorsi opposti? Il tuo ultimo sguardo è diretto da Sean Penn ed è un film ricco di difetti, di eccessi, ma realizzato con una convinzione, con una buona fede che si sembrano encomiabili. Perché Penn fa parte, ha sempre fatto parte dei “felici pochi”, è figlio del regista Arthur Penn, ha sempre frequentato un mondo bello, ricco di possibilità e stimoli intellettuali. E’ stato attore pluri-premiato, sceneggiatore e regista di film interessanti e personaggio mondano noto per qualche intemperanza e per le sue notissime e bellissime compagne, sempre donne di spessore. Eppure da qualche anno deve avere scoperto in particolare modo la situazione del continente africano, si deve essere informato, ha visitato, si è fatto spiegare e deve essere rimasto sopraffatto dalla mostruosità della situazione, mostruosità con la quale il mondo occidentale convive senza fare una piega. E cerca di trasmettere quello che ha appreso con lo sconforto di chi sinceramente non saprebbe cosa fare, dubita che esista qualcosa di efficace da fare, ma non accetta di ignorare, di minimizzare, di voltare la faccia da un’altra parte.
E nelle parole del discorso finale di Theron, sull’accoglienza ai fuggitivi, questa convinzione sincera si avverte, carica di tutte le illusioni da bravo liberal velleitario ma sincero, per cui non pensiamo nemmeno per un attimo di tacciarlo di furbizia, di ruffianeria. Peccato che per sua possibilità (Penn è un nome al quale i divi rispondono e Theron è stata sua compagna), abbia voluto mettere al centro della narrazione di tali fatti una romantica anche se tragica storia d’amore fra due sex symbol. Gli errori nel raccontare questo melodramma, immerso in un preponderante contesto storico, sono la ricercatezza visiva che sembra a tratti incongrua con quanto raccontato; l’eccessiva lunghezza (un episodio fra l’altro si poteva chiaramente eliminare); i dialoghi improbabili fra i protagonisti (e la letterarietà della voice over della protagonista); l’eccesso di truculenza nella messa in scena delle mostruose efferatezze compiute dai barbari africani, non perché non si siano realmente verificate come e anche peggio di quanto vediamo, ma perché sono già viste su grande schermo (in particolare una scena) e insistere sul dettaglio può infastidire qualche animo sensibile, distraendolo dal discorso sincero che c’è sotto. Che giustamente mira a interrogarsi. Si può vivere su tutto questo male? Ci si può permettere la gioia dei sentimenti di fronte a tante atroci sofferenze, la fuga nei sentimenti per non pensare alla realtà? No, dice Penn, non si può. Niente a che vedere insomma con altri film sull’argomento, ricordiamo l’americanata L’ultima alba con Bruce Willis e Monica Bellucci, ma maggiormente Beyond Borders del 2003, con Angelina Jolie e Clive Owen. Qui entrambi i divi si prestano con molto convinzione, specie la davvero bellissima Charlize, ma si ondeggia fra irritazione per la messa in scena, orrore per quanto di vero mostrato, riflessione sulla difficoltà dell’approccio a sciagure storiche di quella portata, che ammazzano per davvero qualunque storia di finzione vi venga inserita.
Peccato, se Penn si fosse trattenuto di più in certe parti, avrebbe offerto meno fianco alle critiche e il suo sincero atto di denuncia avrebbe avuto più peso. Così Il tuo ultimo sguardo rischia di essere un film buono per quelle platee da Galà di beneficenza UNICEF, che proprio Penn stigmatizza, con il fazzoletto in una mano e il libretto degli assegni nell’altro e poi si va a cena e si pensa ad altro. E guardando nei telegiornali i barconi che arrivano si pensa, ma perché non se ne stanno a casa loro?
Non funziona così
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