Il toro Ferdinando
Ragionare a testate
di Giuliana Molteni •
Il toro Ferdinando è nato per sua sventura in un allevamento di tori da corrida. Ma lui è un tenero vitellino, amante della vita e dei fiori, che ne sa di narcisisti toreri, di folle in delirio per la crudele mattanza dei suoi simili. Non è che gli altri tori siano ignari del proprio destino, compreso il possente papà di Ferdinando. Solo pensano che così è e così sarà per sempre e che comunque se il toro sarà più bravo del torero vincerà e sarà gloria per lui. Ma il piccino è sveglio, lui ha capito che le probabilità sono a loro sfavore e ne ha la terribile conferma quando anche il suo papà non torna indietro dopo un combattimento. Così non resta che la fuga e, per sua fortuna, Ferdinand finisce nella fattoria di un’adorabile bimbetta che se lo cresce come il cagnone di casa, in mezzo a verdi colline tutte un fiore. Ma la parentesi di felicità è breve, per una serie di imprudenze Ferdinando, che intanto è cresciuto ed è diventato enorme, si ritrova di nuovo a essere carne da macello per l’arena. Come farà a salvarsi e a ritrovare la sua amata amica? Con l’aiuto di un gruppetto di nuovi, improbabili amici, naturalmente, e anche con la collaborazione di qualcuna delle vecchie conoscenze. Il film è la piacevole ripresa di un personaggio che risale addirittura al 1936, amato perfino da Gandhi per il suo messaggio pacifista. La storia, che è anche un inno alla capacità di scegliere il proprio destino, era stata scritta da Munro Leaf e messa subito al bando dai regimi totalitari che stavano preparando la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1938 Walt Disney ne aveva tratto un corto, a firma di Dick Richard, vincitore di un Oscar nel 1938, arrivato in Italia solo negli anni ‘60. Ci rimette mano il team dei Blue Sky Studios, quelli dell’Era glaciale, di Rio, con il solito disegno morbido dai colori pastellati, tratti elementari ed essenziali ma che bene rendono l’espressività dei vari personaggi. Il film perde un po’ di ritmo nella parte centrale, per riprendersi però nell’avventurosa fuga finale e nella tenzone nell’arena. Rispettando il messaggio originale, non si risolve solo come manifesto contro le corride, tradizione davvero crudele e ormai del tutto anacronistica (ma a quei tempi invece accettata), ma diventa anche uno sbeffeggio dell’ottusa, testosteronica aggressività da maschi alpha che imperversa oggi come allora, un bullismo spicciolo che si avverte sia camminando per strada che assistendo a qualche talk show, nella vita reale e in quella sul web, impermeabile ad ogni ragionamento, votati tutti al testa-contro-testa a costo dell’autodistruzione (e la stupidità di reiterare un comportamento pur sapendo che è suicida fa venire in mente molta politica, anche ai massimi livelli). E quanto a testate, la cronaca recente ci conferma che sono ancora considerate uno stile vincente. Ma anche senza chiavi di lettura più impegnate, Ferdinando (spiritosamente doppiato in originale dal mitico wrestler John Cena) intenerisce e si fa voler bene, con la sua fanciullesca gioia di vivere, con la capacità di essere felice con le piccole gioie quotidiane, affetto e amicizia in testa, oltre che con la sua capacità raziocinante. Fra i compagni della sua avventura, cui sono affidate le parentesi più comiche, c’è una capra (personaggio alla lunga fastidioso), più divertenti i tre porcospini (un po’ pinguini di Madagascar in quanto capaci di incredibili prodezze), e i vanesi e stupidi cavalli di Lipizza convinti di essere delle star e invece anche loro schiavizzati dall’Uomo. Il film inoltre riesce a trattare temi delicati per i più piccini (se non sei buono per l’arena finisci squartato al mattatoio) riuscendo a mantenere un tocco leggero, senza spaventare, evitando che entrino in sala bambini carnivori e ne escano dei vegetariani convinti, con conseguenti polemiche con i genitori. Dove già dediti a questa pratica alimentare, trarranno solo conferme.
Per grandi e piccini
7