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Hostiles

Di che lagrime grondi, e di che sangue

di
Stati uniti d’America, 1892. Il Capitano dell’esercito Joseph Blocker (Bale), glorioso veterano di più guerre, viene incaricato di scortare il Capo Cheyenne Falco Giallo (Studi), gravemente malato, dal New Mexico dove è incarcerato, al Montana, per morire nella riserva dove è relegata la sua tribù. Durante il viaggio, a incarognire ulteriormente i sentimenti, il drappello incontra una donna (Pike), sopravvissuta ad un attacco Comanche che le ha sterminato la famiglia. Intanto come un veleno a lena azione, anche i suoi uomini subiscono il peso della situazione. Siamo alla stretta finale, gli Indiani sono ormai quasi del tutto sterminati, rinchiusi a morire di inedia nelle riserve. L’odio reciproco è immenso, entrambe le parti contano una reciproca catena di stragi sanguinose, di ammazzamenti crudeli, lutti che dagli adulti si rifletteranno ai più piccoli, in una catena di odio destinata a durare nei decenni, nei secoli. Odio che non consente di riflettere sulle ragioni che hanno scatenato tutto e tanto nessuno chiederà mai scusa né eventuali scuse saranno accettate, troppo sangue è scorso. Durante il viaggio, garante per dovere dei suoi prigionieri, Blocker dovrà rivedere qualche convinzione.
 
Scott Cooper scrive, insieme a Donald E. Stewart, e dirige il suo secondo film con Bale, dopo l’altrettanto sconsolato Out of the Furnace e il crepuscolare Crazy Heart. Film-manifesto, che arriva quasi 50 anni dopo Soldato blu, comprime in un tempo troppo breve il percorso di ravvedimento, di maturazione dei personaggi, a tratti troppo programmatico, con parentesi in cui protagonisti si scambiano battute troppo didascaliche. Ma le convinte interpreazioni di tutto il cast, la bellezza desolata dei paesaggi e una fondamentale (anche se parziale) verità, salvano il film che non concede consolazione. Partendo dal mai risolto problema indiano, che oggi (forse) ha meno senso di un tempo riprendere (ma certe ferite non guariscono mai), si vuole estendere il discorso (forse) ad altri “nemici” che ad avvicinarli (forse) così feroci potrebbero non essere, se si cercasse di capire come tutto ha avuto inizio. Utopia, chissà.
Quand’anche però lo si facesse, è indubbio che certi problemi hanno radici ormai troppo lontane e irrimediabilmente avvelenate. Vale sempre il discorso sulla devastazione che la violenza porta nell’animo umano quando raggiunge certi livelli. Troppi uomin, a vedere la storia contemporanea, hanno quell’asticella posta molto in alto, rendendo così perenni e universali le belle parole di D. H. Lawrence poste all’inizio del film: “Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita”. Parole che valgono non solo per gli USA ma per la razza umana intera.
 

Civile

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