Dunkirk
Cos’è la gloria
di Giuliana Molteni •
Nessuno di quelli che scriverà (e davvero pochissimi di quelli che vedranno Dunkirk al cinema) ha vissuto una guerra. Quello che ne sappiamo lo dobbiamo ai film, alcuni dei quali entrati nella storia come Il giorno più lungo, Salvate il soldato Ryan, All’Ovest niente di nuovo, Flags of Our Fathers, La sottile linea rossa, mettiamoci pure il recente Hacksaw Ridge. Per il nuovo millennio abbiamo IL film di guerra, Dunkirk, di Christopher Nolan. Ma un gradino più su, per avere altrettanti e più pregi e assai meno difetti dei predecessori.
Dunkirk racconta una storia semplice, avvenuta fra il 27 maggio e il 4 giugno del 1940, l’Operazione Dynamo, cioè le ultime fasi dell’evacuazione dalla spiaggia di Dunkerque (Dunkirk nella traduzione inglese) di circa 400mila soldati, truppe miste franco/inglesi rimaste isolate sulle spiagge del nord della Francia dopo la rapida avanzata tedesca. La vicenda occupa una settimana per i soldati semplici ammassati sulla spiaggia in attesa di un impossibile imbarco; un giorno per la barca del cittadino semplice Dawson, che parte dal Dorset per fare la sua parte; un’ora per i piloti della Raf che con i loro Spitfire cercano di proteggere la flotta inglese che, pur in forze ridotte, cerca di avvicinarsi alla costa francese. Il nemico, i tedeschi, non si vede mai, spara fucilate da lontano, bombarda a tappeto la spiaggia, lancia siluri verso le navi, duella in cielo con i piloti inglesi (grazie anche per questo a Nolan, siamo stufi di giapponesi eroici, di nazisti dal volto umano). È stato un bagno di sangue, poteva andare peggio, pessimo modo di iniziare un conflitto con la mostruosa Germania di Hitler, che aveva spazzato via ogni resistenza in Europa.
Oggi si può leggere come una vittoria morale, astutamente cavalcata da Churchill a scopo di indispensabile propaganda. Terra, aria, acqua, fuoco, tutti gli elementi sono coinvolti nella vasta rappresentazione di Nolan, meditata da più di vent’anni, che gira come già dovunque commentato in pellicola in 70 mm, con alcune scene in Imax, con un moderato ricorso alla CG e un uso massiccio di comparse, aerei e navi vere. E mentre nel caos della guerra gli elementi si fondono e confondono, divorandosi a vicenda, nel brulicare disperato di esseri umani, sceglie di raccontare, quasi senza parole (tutti i personaggi hanno poche battute a testa) “l’umanità”, senza sentimentalismi, senza giudizi, senza retorica. Ma è sempre vera la vecchia massima, che tante volte abbiamo citato (grazie Steven e grazie al Talmud) “chi salva un uomo salva l’umanità”. Ma anche il vecchio “Uniti si vince” (oggi sarebbero tutti a casa a scrivere commenti salaci su facebook o a mandare tweet).
E invece dalle coste inglesi allora è partita una quantità commovente di barche di ogni genere, circa 700 (e più di 200 sono finite affondate), fra mercantili commerciali, traghetti, barche da pesca e barchette da diporto, a vela o a motore, per andare riprendersi i propri soldati (e ne hanno salvati circa 339.000). Ma va anche detto che Dunkirk è sì un film di Nolan, ma anche di Hans Zimmer, per l’apporto insostituibile della sua colonna sonora che è più “parlante” di mille dialoghi, un mix di note e suoni, di musica e rumori che si dispiega in accordi dall’ampio respiro, quelli sì emotivamente, se vogliamo “sentimentalmente”, mirati, in un paio di scene. Perfetto il cast: Kenneth Branagh, umanissimo Comandante di Marina; James D’Arcy interpreta un incerto Colonnello; Mark Rylance che è Mr. Dawson, un civile; i ragazzi che fanno i fanti, il quasi esordiente Fionn Whitehead, il più noto Aneurin Barnard e il cantante Harry Styles, ex One Direction. Cillian Murphy è un soldato devastato da un violento stress post-traumatico.
Una parola in più per Tom Hardy, che recita solo con gli occhi, la faccia semicoperta da casco e occhiali da pilota, dice quattro frasi in tutto ma lascia una traccia nel cuore dello spettatore. Dunkirk è un film che ti afferra non alla gola ma al cuore, senza sentimentalismi vecchio stile, con il sentimento vero ridotto al minimo e con quel giusto orgoglio inglese, di quella nazione che allora (e per nostra fortuna) non si è piegata (che oggi suona impopolare parlare bene dell’Inghilterra, ma questa è stata la Storia). Lungo tutto il film si avverte un ticchettio, un battito, del tempo, del cuore, quel cuore che per fortuna alcuni film ancora possiedono. Ovviamente si spera di trovare spettatori che quel cuore ce l’abbiano ancora anche loro
Ma poteva essere 11
10