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Civiltà perduta

L’uomo che sussurrava ai selvaggi

di
Una volta non esistevano i satelliti e anche solo per disegnare una mappa, per individuare isole, continenti, territori, e strade, percorsi di fiumi, altezze di catene montuose (spesso proprio la loro stessa esistenza) ci voleva un piccolo, fragile essere umano, che a suo rischio e pericolo, dopo aver faticosamente trovato un finanziamento, partiva sfidando l’ignoto, senza degne attrezzature, senza mezzi di comunicazione, per andare a vedere di persona e riportare le sue scoperte. Erano uomini che per anni svanivano nel nulla per ricomparire con planimetrie e con campioni di flora e fauna, aiutando con i loro racconti a comprendere quanto mondo sconosciuto ancora esistesse e come fosse. Da contemplare con altezzosa superiorità, specie se inglesi, ovviamente, anche se proprio questa nazione è stata una grande “sponsor” per la scoperta del nostro pianeta. La storia vera di uno di questi personaggi, un vero degno rappresentante della categoria degli esploratori, ci viene adesso narrata dal regista James Gray, autore finora di film di diversa ambientazione, che si sposta dalle giungle urbane per approdare in quelle vere del Sud America, ispirandosi al libro di David Grann, The Lost City of Z.
 
Si racconta la vita breve e infelice , con poche parentesi di felicità almeno, di Percy Fawcett, Maggiore dell’esercito snobbato dalla classe dominante, esploratore appassionato, che pur amando molto la moglie e i figli, ha trascorso lunghi anni in territori selvaggi e pericolosi. È intorno al 1910, quando compie un viaggio in Bolivia, su commissione della Royal Geographic Society, che ha sentore dell’esistenza di una civiltà sconosciuta, un’antichissima enclave persa nella giungla, la città perduta di Z, forse addirittura il mitico El Dorado. Non si toglierà più questo chiodo dalla mente, tornerà invano ancora una volta, sempre arrivando al limite della scoperta e di se stesso, sempre costretto a ritirarsi da diversi problemi. Scoppia la Prima Guerra Mondiale, Percy è mandato al fronte e combatte per due anni nel fango, sognando le sue verdi foreste amazzoniche. Dopo altri due anni impiegati a guarire dai danni subiti per un avvelenamento da gas di cloro, riesce a ripartire ancora una volta, questa volta insieme al figlio maggiore. Come è finita è storia, ma non stiamo a ricordarlo qui.
 
Fawcett qui non è né Fitzcarraldo né Indiana Jones né Shackleton, che vedremo prossimamente con la faccia di Tom Hardy, o Amudsen o Livingstone e nemmeno Lord Jim), e forse per evitare tutta la retorica sugli esploratori, Gray asciuga da ogni enfasi tutta la narrazione, costringendo Charlie Hunnam a una recitazione sempre sottotono, quasi sussurrata, lasciando la spettatore a scavare sui moventi più intimi del personaggio, senza riuscire a comunicare il sacro fuoco che doveva animarlo. Fuoco di tale intensità che ha fatto di Fawcett un marito e un padre davvero assente, che ha lasciato quasi sempre soli i suoi cari, spinto dall’irrefrenabile afflato verso l’ignoto, il lontano, l’altrove, molto più che dal più elementare desiderio di riscatto sociale. Se la storia sembra già vista, l’occidentale che sfida se stesso e la natura lasciando il confortevole nido, è perché sono state così  tutte le storie di fiction su questa ormai quasi estinta categoria, tutte raccontate però con forse maggiore vena romantica, rendendo più appassionanti le vicende degli protagonisti, anche se non necessariamente più vere. Quindi i limiti di questo film stanno anche nel suo merito di aver scelto un approccio molto realistico, sobrio. Meritevole, ma non tale da migliorare il giudizio, l’inserimento di una tematica vagamente femminista (dichiarata ma non pervenuta) nel personaggio della coraggiosa consorte, così come il discorso antropologico, con i tentativi di Fawcett di convincere gli ottusi membri dell’alta società sull’umanità dei “selvaggi”, sull’esistenza di una civiltà diversa ma ugualmente degna di rispetto. Al film non giova comunque l’eccessiva lunghezza, 2 ore e venti, raramente un film supera indenne questo minutaggio. Una volta di più possiamo riflettere quanto sia perlomeno bizzarro essere andati sulla Luna e ignorare ancora oggi cosa si trovi dentro alcune vaste aree sul nostro pianeta. E così continuiamo a vagheggiare città tutte d’oro, civiltà primitive e misteriose, fonti dell’eterna giovinezza, Shangri la sperse fra i monti, anche se la tecnologia oggi lascia meno spazio ai sogni. Ma sognare fa parte della natura umana e di pari passo la ricerca della felicità. Che per alcuni, come Percy Fawcett, stava lì, lontana lontana dal grigiore mortifero delle città, fra gente selvaggia che uccide crudelmente, non diversamente peròdai civili uomini bianchi, che lo fanno pure su ben più vasta scala In quel settore infatti  il progresso vola, chissà come mai.
 
 
 
 

un uomo che non voleva farsi Re

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