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Baby Driver

The Sound of Action

di
Baby è un ragazzo poco più che adolescente, che guida le auto come un dio. Per una serie di sfortunati eventi, è finito a fare l’autista di fiducia di un organizzatore di “colpi”, che affida a gang sempre diverse, e che Baby porta in salvo guidando come un pazzo, al ritmo delle musiche che ascolta in continuazione. Baby vive infatti integrato con le sue cuffiette (e con i suoi occhiali da sole), possiede decine di iPod caricati di compilation adatte a ogni circostanza. E’ un bravissimo ragazzo, dolorosamente orfano di adorata mammina, vive con un vecchio nero, paralitico e sordo, che accudisce amorosamente. Si innamora di una cameriera anche lei appassionata di musica e sogna un impossibile riscatto. Ma gli eccessi dei delinquenti che frequenta faranno degenerare un colpo e tutto prenderà una china inattesa.
 
L’autore (regista e sceneggiatore) Edgar Wright ripropone la stessa operazione che aveva fatto con i suoi film precedenti (Shaun Of The Dead, Hot Fuzz, il falso trailer di Grindhouse, Scott Pilgrim, La fine del mondo), in cui attraverso le sue “commedie d’azione” si divertiva a rimescolare diversi generi cinematografici, in una forma di “parodia intelligente”, una rivisitazione pop di generi topici del cinema americano. Ma qui (sarà indubbiamente una faccenda generazionale) ci sembra di essere arrivati al gioco fine a se stesso, a uno sterile e prevedibile esercizio di stile (che pure è presente e vistosamente). Il tono è altalenante fra il grottesco e la dichiarata parodia ma senza che ci sia il giusto amalgama, l’azione è girata da dio e l’uso delle musiche è virtuosistico (l’incipit è davvero travolgente, sulle note di Bellbottoms degli Jon Spencer Blues Explosion). Il film regge bene fino alla parte centrale, quando subentra l’insopportabile, ovviamente logorroico, personaggio affidato a Jamie Foxx (parodia del già insopportabile Motherfucker di Come ammazzare il capo). Poi tutto sembra fermarsi in mezzo a inutili conversazioni, a forzate svolte narrative. Si deve avere voglia di leggere in controluce una storia alla Driver (e non solo quello di Refn, ma soprattutto quello del ’78 con Ryan O’Neal), con un soggetto “innocente” e dal cuore buonissimo, coinvolto in colpi con delinquenti senza scrupoli, capaci di cose efferate, che è costretto a sporcarsi le mani per salvare il suo amore puro per l’innocente camerierina tutta smorfie leziose, con il sogno di fuga verso l’orizzonte in cerca di una nuova vita. Ma si avverte lo sforzo da primo della classe che vuole dimostrare di saper fare di più, l’esibizione di virtuosismo a tutti i costi. E alla fine stufa anche il raffinato gioco musicale, che è la cosa che più si impone all’attenzione, perché è il montaggio che si adegua alle musiche scandendo i tempi dell’azione, e non viceversa. Gran cast. Kevin Spacey si compiace nel suo ruolo di algido ingegnere di impeccabili rapine. Jon Hamm si diverte a interpretare uno stilosissimo malvivente, un villain che sembra meno cattivo e invece lo sarà, che nel finale si trasforma in una specie di Terminator (sarà citazione anche questa?). Lily James è stucchevole come richiede il ruolo.
 
Ansel Elgort si merita il ruolo da protagonista, il più importante della sua ancora giovane carriera. Wright come sempre si prende gioco con ironia dei personaggi che mette amorevolmente in scena, come un’affettuosa presa in giro dell’eroe che ciascuno riesce ad essere solo nella propria testa (e just for one day), perché tutti alla fine sono a vario titolo degli emarginati, dei lesionati. E’ chiaro che Wright ha moltissimo talento, ma come regista deve provare a metterlo al servizio di storie valide, più valide di questa.
 

Musica e azione, di testa

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