Amiche di sangue
Bad Girls
Amanda (Olivia Cooke, vista in Ready Player One) e Lily (la Anya Taylor-Joy di Split e The Miniaturist) sono due adolescenti, sono ragazze di buona educazione, di famiglia ricchissima, una proprio ricchissima. Sono palesemente oppresse da qualche trauma, che ha indotto comportamenti abnormi. Ma tutto resta sotto il tappeto. Sono amiche ma fra loro il gioco di potere è sottile e complesso. Sono sull’orlo dell’età adulta, ma quali adulti hanno come modello? Sono state allevate per restare nei canoni rigidi di un gruppo sociale degenere. Sono due ragazze perdute, deviate, ma sono anche il frutto caduto vicino alla pianta malata che le ha generate. Amanda, la più cinica, disinibita e sfacciata, insinua in Lily l’idea di ammazzare l’odiato (e in effetti odioso) patrigno, ma poi si ritrae, contribuisce all’avanzamento del piano ma sembra ostacolarlo (perché forse ha altro per la testa). Instaurano un gioco di sopraffazione anche nei confronti di un giovane sprovveduto spacciatore, un poveraccio in cerca di riscatto sociale (ultima apparizione di Anton Yelchin sugli schermi). L’enigmatica impassibilità di Lily fa da contraltare agli sprazzi di energia, di pragmatismo malsano dell’amica. Ce la faranno a portare a termine il loro piano e, in caso affermativo, come si proteggerà la società da loro? Forse un giorno avveleneranno tutta la famiglia, compresi mariti e figli, forse entreranno sparando da qualche parte. Forse invece seguiranno le orme genitoriali, protette dal loro status, nei secoli dei secoli. Amiche di sangue in fondo è un teen movie, che forse vorrebbe rimandare agli algidi e distruttivi gruppi famigliari di Haneke o del nuovo cinema greco, ma in fondo è solo un blando thriller, ben recitato e ben diretto dall’esordiente Cory Finley, che si segnala anche per un ottimo uso del commento sonoro, in un mix originale fra musiche e suoni, fra incubo e realtà. Il titolo originale Thoroughbreds potrebbe anche alludere all’allevamento delle ragazze come polli in batteria (altra possibile interpretazione del titolo che in realtà vale per “purosangue”, con il suo riferimento a un “prodotto” allevato in modo assolutamente protetto, artificiale). Se le protagoniste sono glaciali e incapaci di provare sentimenti (ma non sono ragazze alla Brett Easton Ellis né stile Spring Breakers o Bling Ring), anche la storia purtroppo non ne provoca nello spettatore, priva di picchi capaci di far deragliare da binari troppo prevedibili, ritraendosi in continuazione da ogni eccesso (nella volontà di non indulgere in efferatezze visibili, gli atti cruenti avvengono fuori campo). Il malsano rapporto fra le ragazze e le perverse meccaniche famigliari, le prevaricazioni, le trappole psicologiche e gli inganni dovrebbero essere sufficienti a catturare l’attenzione dello spettatore, a garantire il suo coinvolgimento. Ma questo non accade fino in fondo e quindi non tutto ha funzionato come dovuto. Il regista però, qui al suo debutto assoluto, che scrive anche la sceneggiatura, promette bene.
promettente
6