L’incredibile vita di Norman
Un link con la vita
di Giuliana Molteni •
Norman Oppenheimer è un signore dall’aspetto molto perbene, dall’anonimo look medio borghese, una capace cartella un po’ sformata fra le mani e le cuffiette del cellulare sempre nelle orecchie. Ha un’attività insolita, difficile da spiegare, non è assolutamente un lobbista, forse si può definire faccendiere, in fondo è soprattutto imprenditore di se stesso, il Mr.Wolf di un suo ristretto giro di conoscenze.
Norman va in giro tessendo trame di conoscenze, uno schema Ponzi di relazioni sociali, seminando i suoi eleganti biglietti da visita, raccogliendone più che può (i contatti sono tutto), stringendo mani, entrando in contatto e mettendo a suo volta in contatto personaggi che potrebbero trarre reciproco vantaggio dalla connessione. È un millantatore, è un ciarlatano, è un truffatore? Non del tutto, perché se sono macchinosi e vagamente truffaldini i metodi che usa per avvicinare i personaggi importanti che gli servono, quasi stalkerandoli, alla fine combina accordi favorevoli per tutti, investendo molto di suo, finanziariamente oltre che fisicamente. L’anziano uomo è instancabile, sempre per strada in movimento perenne, pasti frettolosi e frugali, in continuo contatto telefonico con il suo giro di personaggi. Norman è affabile e sorridente anche quando si trova a dover affrontare qualche sconfitta, qualche umiliazione, pronto a ripartire. L’autore della storia nonché regista Joseph Cedar ci dice che Norman fa parte di una gloriosa razza, che risale ai tempi biblici, “l’ebreo cortigiano”citato da Shakespeare a Woody Allen, un servitore di potenti umile ma con una sua dignità, convinto di poter essere un ponte fra ambienti diversi. E in nome di questo può dover andare incontro a grandi sacrifici, anche mai riconosciuti. Un giorno gli riesce il colpo grosso, entra in contatto molto amichevole con un vice-vice ministro israeliano, che resta colpito dalla sua affabilità, ignorando i suoi fini. Sarà un’amicizia che sembrerà svoltargli la vita, tempo dopo, mettendolo finalmente nella posizione di riscuotere i suoi crediti, di apparire agli occhi di tutti per quello che davvero è convinto di essere. Come tutti i castelli di carta anche quello di Norman è molto fragile e poco basterà per farlo crollare. Ma non è detto che proprio tutto fosse fragile, qualcosa di concreto, solido è stato costruito e il merito sarà suo. Quindi alla fine, per il bene di chi ha tanto sgobbato Norman? E cosa ne avrà in cambio? Non ne escono bene nemmeno i potenti, i politici e i loro assistenti, i miliardari veri, gli affaristi con i loro agguerriti staff, dove avidità, cinismo, diffidenza, si celano a malapena dietro tanti sorrisi. Piccolo pesce pilota fra grandi squali che forse un poco si monta la testa, Norman riempie affannosamente la sua vita solitaria, utilizzatore a sua volta utilizzato, piccolo nowhere man che fa i suoi piani che ogni tanto a qualcuno interessano.
Perché quest’uomo, borghese di piccoli mezzi, fa quello che fa, lo fa per i soldi, lo fa per gratificarsi di una vita altrimenti ai margini, lo fa per partecipare alla divisione di una torta di cui altrimenti non vedrebbe nemmeno le briciole? Lo fa per prestigio sociale, per sentirsi importante facendo sentire importanti quelli che ha intorno, che si appoggiano alla sua influente amicizia? Chissà, troppo poco sappiamo di lui e del suo passato (e questo è uno dei limiti della storia). Eppure ugualmente empatizziamo, ci imbarazziamo e ci rallegriamo, ci preoccupiamo. Perché Norman è affidato al sempre soave Richard Gere, che qui nasconde il suo charme sotto una penalizzante frangetta e fra due orecchie a sventola, attore che cerca lodevolmente ruoli diversi da un tempo, per raggiunti limiti di età, e che ha sostenuto il progetto del film insieme al produttore Oren Moverman ormai alla sua terza collaborazione con lui. Per questo Gere viene “omaggiato” nei titoli di coda, graficamente costruiti per ricordare proprio gli schemi del suo personaggio. Anche portare a termine un film è infatti affare di connessioni.
Perché quest’uomo, borghese di piccoli mezzi, fa quello che fa, lo fa per i soldi, lo fa per gratificarsi di una vita altrimenti ai margini, lo fa per partecipare alla divisione di una torta di cui altrimenti non vedrebbe nemmeno le briciole? Lo fa per prestigio sociale, per sentirsi importante facendo sentire importanti quelli che ha intorno, che si appoggiano alla sua influente amicizia? Chissà, troppo poco sappiamo di lui e del suo passato (e questo è uno dei limiti della storia). Eppure ugualmente empatizziamo, ci imbarazziamo e ci rallegriamo, ci preoccupiamo. Perché Norman è affidato al sempre soave Richard Gere, che qui nasconde il suo charme sotto una penalizzante frangetta e fra due orecchie a sventola, attore che cerca lodevolmente ruoli diversi da un tempo, per raggiunti limiti di età, e che ha sostenuto il progetto del film insieme al produttore Oren Moverman ormai alla sua terza collaborazione con lui. Per questo Gere viene “omaggiato” nei titoli di coda, graficamente costruiti per ricordare proprio gli schemi del suo personaggio. Anche portare a termine un film è infatti affare di connessioni.