Negli anni ’80 ha nutrito l’immaginario adolescenziale con avventure favolose e moderni fantasy, sceneggiando pellicole, poi divenute di culto, come
I Goonies (1985),
Piramide di paura (1985) e
Gremlins (1984).
Nei ’90 ha diretto alcune commedie di enorme successo come
Mamma, ho perso l’aereo (1990),
Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre (1993) e
L'uomo bicentenario (1999).
Infine, nel nuovo millennio, ha inaugurato, dirigendone i primi due episodi, la saga cinematografica dedicata a Harry Potter, il maghetto occhialuto creato dalla scrittrice
J. K. Rowling che, insieme con la trilogia de
Il Signore degli Anelli, ha riportato alla ribalta il genere fantasy.
Con un simile curriculum, non stupisce che Chris Columbus sia uno dei registi hollywoodiani più amati a livello internazionale. Una fama che, molto probabilmente, sarà confermata dalla prossima fatica del regista: Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo – Il ladro di fulmini. Ancora una volta Columbus porterà sullo schermo (a partire dal 12 Marzo) una serie di romanzi fantasy da molti indicata come la degna erede di quella della Rowling. Protagonista è Percy, un ragazzo apparentemente come tanti, salvo scoprire di essere il figlio di Poseidone, il Dio dei Mari.
Il regista, a breve impegnato, ma solo in veste di produttore mentre la regia sarà affidata a Neil Jordan, anche in un’altra trasposizione cinematografica, l’adattamento di The graveyard book (Il figlio del cimitero, in Italia) dello scrittore inglese Neil Gaiman, è arrivato a Roma per presentare il primo episodio della saga di Percy Jackson.
Ecco le sue dichiarazioni direttamente dall’incontro con la stampa.
Da dove nasce la sua fascinazione verso la serie di romanzi dedicati a Percy Jackson e verso la mitologia greca?
Ho sempre amato la cultura greca, e vederla realizzata in questo libro, in un’ambientazione moderna, offriva delle possibilità davvero gustose per me come regista. Fin dal film Gli Argonauti del 1963 (che ho voluto omaggiare con la sequenza dell’Idra, ovviamente più sofisticata e credibile, grazie all’evoluzione degli effetti visivi, di quella mostrata in quel film), la mitologia greca, anche al cinema, mi ha sempre colpito. D'altronde, ha successo da secoli! E avere l’opportunità di farla conoscere ai ragazzini di oggi con l’ausilio della moderna tecnologia degli effetti speciali, è una ragione in più per fare questo film.
Il fascino di queste storie eterne risiede anche nei due livelli di coinvolgimento che le caratterizzano: quello dark per adulti e quello più infantile. È stato proprio questo duplice aspetto a rappresentare il mio punto di partenza per Percy Jackson: intendevo attrarre i ragazzi senza, però, annoiare gli adulti.
È giusto affermare che la cultura popolare anglosassone (film, fumetti, videogame, romanzi popolari) rappresenta, oggi, una sorta di mitologia contemporanea? Quello, cioè, che i miti greci rappresentavano per gli antichi greci in passato?
Quest’aspetto, almeno in parte, è presente proprio nel libro. L’idea, cioè, che tutti i protagonisti dell'antica mitologia greca abbiano, in un certo senso, attraversato secoli e continenti. Sono partiti dall'antica Grecia per arrivare all'Italia del Rinascimento fino a giungere, ai giorni nostri, in America, dove rimarranno per qualche anno, fino a quando non ci distruggeremo completamente.
Ho trovato particolarmente affascinante questo concetto: Percy Jackson, infatti, può esser considerato simile a molti altri eroi moderni. Alcuni mi dicono che assomiglia a Harry Potter, altri a Spider-Man o, ancora, a Frodo ne Il Signore degli Anelli, nel senso che tutti questi personaggi partono da condizioni problematiche. Percy Jackson, nel nostro caso, è dislessico e soffre della sindrome del deficit d'attenzione. È, dunque, un ragazzino con dei problemi dai quali, però, riesce a trarre maggior potere. E ci tengo che questo sia uno dei messaggi del mio film: i difetti e i problemi possono divenire poteri da usare a proprio vantaggio, per acquisire maggior forza.
Qual è la «ricetta» per riuscire a sviluppare un franchise cinematografico di successo (dal momento che lei, dopo aver dato il via alla fortunatissima saga di Harry Potter, può essere considerato un esperto in materia)?
L’elemento fondamentale, in questo caso, era riuscire a trovare l'attore giusto per il ruolo del protagonista. Avevo già visto Logan Lerman in Quel treno per Yuma e nel provino lo trovai subito perfetto. È un interprete eccezionale ed è stato un onore lavorare con lui sul set: sono convinto che diventerà un grande attore. Non solo una star: è dotato di molto talento e sarà in grado di cimentarsi con registri e ruoli molto diversi tra loro. Metterlo al centro del film ha favorito l'empatia emotiva ed intellettuale con lo spettatore, che partecipa e crede alla sua storia e ne è conquistato.
Un ruolo centrale, come sempre in questo genere di film, è giocato dagli effetti speciali. Come ha lavorato alla messa in scena, sicuramente non facile, dei mostri e delle sontuose scenografie che compaiono nella pellicola?
Era importante che i visual effects fossero realizzati nella maniera più accurata possibile poiché dovevamo dare al pubblico qualcosa di davvero credibile, di tangibile quasi. Inoltre, questa nostra ricerca di accuratezza ha aiutato anche il lavoro degli attori i quali, molto spesso, sono disorientati dai set interamente in green screen. Ecco perché abbiamo preferito ricostruire il maggior numero di set possibile, per dar loro dei punti di riferimento attraverso cui orientare la loro performance. Questa è una lezione che ho imparato realizzando la saga di Harry Potter: non fui del tutto soddisfatto degli effetti visivi del primo capitolo e, infatti, negli episodi successivi, in particolare in Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, apportammo dei miglioramenti significativi.
Ancora una volta è impegnato nella trasposizione di un libro. Che cosa ha sacrificato del testo di partenza e quale criterio ha seguito per decidere gli elementi da escludere?
Adattare un romanzo presenta sempre delle difficoltà notevoli.
Quando facemmo il primo Harry Potter, che era già un libro di enorme successo, ci sentivamo gli occhi del mondo addosso sia nella scelta del cast sia nella scrittura della sceneggiatura. La mia libertà come regista non esisteva, schiacciata più dall'aspettativa dei fan che da eventuali pressioni dell'autrice J. K. Rowling. Mi sentivo chiuso in una gabbia, intrappolato. Per fortuna la situazione è migliorata con il secondo episodio e, ancora di più, con il terzo, nei quali la nostra libertà era decisamente maggiore. Ecco perché in questo film ho voluto concentrarmi solo sull'opera cinematografica, senza condizionamenti eccessivi dovuti all’aderenza al libro. Ovviamente ho tenuto conto dei vari elementi che lo legano ai capitoli successivi pubblicati finora ma, in generale, ho preferito impegnarmi affinché l’esperienza cinematografica prodotta dal film fosse la migliore possibile. Ad esempio, la spettacolare sequenza con l’Idra non era presente nel libro ed è stata aggiunta così come, al contrario, altre cose presenti in esso abbiamo preferito eliminarle.
Ha già intenzione di proseguire il franchise, dirigendo le pellicole successive?
Non voglio passare per un presuntuoso né, tanto meno, sfidare il destino.
Sicuramente, se il film avrà successo, continuerò la serie. Mi piacerebbe moltissimo, infatti, sia approfondire la storia, esplorando più a fondo la mitologia greca, sia tornare a lavorare con questi attori fantastici.
Come anche lei ha detto, Percy Jackson è un ragazzo con molti deficit. Nonostante essi, però, riesce a portare a termine la sua missione. È, in qualche modo, uno specchio dell’attuale condizione del popolo americano?
Me lo auguro. Spererei che il nostro paese finisse per raggiungere i risultati di Percy, ma la nostra America è ben lontana dal riuscirci. Certo, il viaggio di Percy Jackson è decisamente più breve di quello degli Stati Uniti [Ride].
A tal proposito c’è un altro elemento che vorrei sottolineare. Stiamo attraversando, non solo in America ma in tutto il mondo, un momento di grave crisi economica, ed è per questo motivo che la gente, a mio parere, cerca l'evasione offerta da film come questo. E, pur essendo un fan di quelle opere che affrontano tematiche sociali, credo che lavori di questo tipo, capaci di far dimenticare alle persone le difficoltà del mondo in cui vivono, siano altrettanti necessari. In questo senso, penso che lo straordinario successo di Avatar sia l’esempio migliore.
Nel film, l’ingresso che conduce all’Inferno si trova a Hollywood: scelta non casuale, vero?
Decisamente no! Se non hai successo, Hollywood può diventare un vero inferno! [Ride]
Ovvio che è stata una scelta intenzionale collocare l’ingresso dell’Inferno a Hollywood: è un posto che non mi piace e non ci vivo (avendo quattro figli non volevo che loro crescessero lì e ho preferito stabilirmi a San Francisco), nonostante sia costretto a passarci qualche mese ogni volta che lavoro a un film.
Come mai non avete girato il film in 3D, la moda del momento?
Abbiamo discusso della possibilità di realizzare Percy Jackson e il ladro di fulmini in 3D, tuttavia ci tenevo moltissimo ad arrivare nelle sale prima di Clash of Titans – Scontro tra Titani, nostro diretto concorrente perché anch’esso presenta come sfondo le leggende della mitologia greca. Se avessimo girato il nostro film in 3D avremmo dovuto ritardare l’uscita di circa quattro mesi, e non saremmo stati in grado di anticipare il film di Louis Leterrier.
Qual è la sua opinione sulla stereoscopia?
Sono convinto che il 3D non sia più solamente un tecnicismo ma qualcosa che consente allo spettatore d’immedesimarsi nel personaggio, e questa mia convinzione è confermata dal successo clamoroso di film come Avatar o Up. A questo punto, quindi, mi piacerebbe poter vedere al cinema anche un musical o un film drammatico in 3D: io sono sicuro che il pubblico sia pronto per accettare qualcosa del genere. Pensate a cosa potrebbe diventare The Hurt Locker in 3D!
È evidente, dunque, che io abbia un desiderio enorme di girare un film in 3D ma voglio farlo al meglio.
Una battuta del film dice che uno dei tanti figli degli dei potrebbe stare alla Casa Bianca. Secondo lei, Barack Obama di quale dio potrebbe esser figlio?
Probabilmente di Zeus! [Ride]
La battuta originale di Grover affermava: “I semidei sono famosi. E intendo al livello della Casa Bianca! Io stesso, una volta, sono andato a votare di nascosto”. Ma quest’ultima parte è stata tagliata così come i racconti di Chirone (interpretato da Pierce Brosnan) sui vari semidei che ha allenato, da Ercole a Michael Jordan!
Di che cosa si è nutrita la sua fantasia quando era ragazzo?
Si tratta di una combinazione di tantissime cose. Entrambi i miei genitori lavoravano in fabbrica: mio padre faceva l'operaio in una fabbrica d'alluminio e mia madre in una che produceva automobili. Inoltre vivevo in questa cittadina sperduta in Ohio e, quindi, la mia unica via di fuga erano i film, i fumetti, i romanzi, la tv. Ho letto di tutto, da Doc Savage ai comics della Marvel, poi mi sono appassionato ai film horror della Hammer e della Universal.
Probabilmente l’anno che ha cambiato la mia vita è stato il 1973. Un weekend andai a vedere la riedizione de Il padrino, mentre la settimana successiva vidi Mezzogiorno e mezzo di fuoco di Mel Brooks: allora capii che volevo fare il regista. Mi rendo conto che sono due film completamente diversi, quasi opposti e, infatti, quando mi è capitato di realizzare pellicole non particolarmente riuscite, le ho sempre considerate come una specie di «figlie» nate dallo scontro tra Il padrino e Mel Brooks!
Di quel periodo della mia adolescenza in Ohio mi è rimasta la convinzione che non si debba mai perdere la fame, il desiderio di cultura, senza distinzioni tra alta o bassa: tutta la cultura è utile.