Vincenzo Terraciano, regista di Tris di donne&abiti nuziali, attraverso le vicende della famiglia Campanella ci mostra tutte le sfumature del gioco d’azzardo. Tutti i Campanella o quasi sono affetti da questa febbre, anche se ognuno a modo proprio.
Franco Campanella, interpretato da uno splendido Sergio Castellitto, è un pensionato delle poste sulla cinquantina ed è il padre di Luisa (Raffaella Rea) e Giovanni (Paolo Briguglia) e marito di Josephine (Martina Gedeck). Franco è senza dubbio il protagonista e il motore di tutte le vicende che travolgono la sua famiglia, succube della sua insanabile passione per le carte. Lui gioca a tutto e si gioca tutto, anche l’intera pensione nonostante la figlia Luisa si debba sposare a breve. Non si limita ovviamente solo a quei 900 euro ma si indebita chiedendo prestiti ovunque, nella speranza di poter recuperare e colmare quel buco nero di debiti che invece di colmarsi si allarga sempre di più. É un personaggio molto particolare quello interpretato da Castellitto, lo spettatore prova amore e odio nei suoi confronti, è contraddittorio in ogni cosa che fa e che dice. Mente sempre pur non essendo cattivo, è un pover uomo convinto che arriverà la mano vincente che gli farà cambiare vita. Non tanto a lui quanto ai suoi cari. É paradossale, certo, ma lui non sembra giocare per se stesso, sembra farlo, nella logica irrazionale propria dei giocatori, per la sua famiglia.
Franco sa benissimo quanto sua moglie Josephine tenga al matrimonio di sua figlia, da buona madre lei vuole dare alla figlia tutto ciò che lei non ha avuto (a causa di Franco, naturalmente) e questo matrimonio è soprattutto il suo sogno. E lui non vuole deluderla. E’ senza dubbio un irresponsabile, un sognatore, ma dai buoni sentimenti . Ama sua figlia e nonostante i molti debiti sogna di poterle regalare quel vestito da sposa che Luisa ha visto in vetrina e che le piace tanto, quel viaggio di nozze strano, tirato fuori dalla copertina di un libro. E così gioca sempre convinto che un giorno arriverà la volta buona, ma la mano dorata non arriva mai e i debiti e le bugie aumentano così come l’ansia dello spettatore che rimane attonito davanti ad un castello di carte che sta per crollare. Non è però il solo Sergio Castellitto ad essere affetto dalla febbre del gioco, lo sono anche Giovanni e Josephine. In maniera più razionale, se così si può dire, ma anche loro amano il gioco d’azzardo. Josephine gioca tra amiche, ma è una vincente. Ha una memoria perfetta, si ricorda tutte le carte, appare più esperta e fredda del marito. Anche Giovanni è molto bravo, è ammesso a quei tavoli dove suo padre non si siederà mai, è quasi un professionista, e come la madre apparentemente sembra dominare la febbre del gioco. In realtà l’apparenza inganna e Giovanni se ne renderà conto a proprie spese riuscendo per la prima volta nella sua vita a capire il padre.
Ed è proprio questo l’elemento fondamentale del film, il gioco è, allo stesso tempo, la fine e il principio. La fine di un sogno e di un matrimonio, l’inizio di un nuovo rapporto tra padre e figlio. Nel tentativo di salvare la famiglia sommersa dai debiti come in una sorta di catarsi tutti i protagonisti imparano qualcosa. E’ un film poetico che usa il pretesto del gioco per parlare del valore della famiglia, nel bene o nel male. Esattamente come dice Netverbum in una splendida poesia che Luisa dedica al padre:” Padre, se anche tu non fossi il mio/Padre se anche fossi a me un estraneo,/ per te stesso egualmente t'amerei”.
l’oro di Napoli
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