Un paesaggio spettrale come quello di un pianeta inospitale e inesplorato. Il regista Siddiq Barmak, vincitore del Golden Globe nel 2004 per il film Osama, tratteggia così il territorio più remoto del deserto dell'Afghanistan, un mondo morto e abbandonato al proprio destino, persino dalla guerra che si sta consumando nelle zone limitrofe.
Su quest'area precipitano con il loro elicottero due soldati americani, un bianco e un nero. Impossibilitati a chiamare i soccorsi per i danni ingenti al velivolo, i due si incamminano tra la ghiaia e le dune del deserto, scoprendo tra di esse un mondo sotterraneo che dal cielo era invisibile. Il luogo è infatti abitato da rifugiati nascosti in carri armati abbandonati, da pastori che ignari del conflitto bellico allevano bestiame e coltivano l’oppio (che annulla dolori e paure), e da bambini che giocano su cadaveri decomposti con uno spaventoso cinismo, ballando intorno alle tombe di soldati di differenti nazioni, sepolti uno vicino all'altro in un cimitero che è metafora di una possibile e vicina “Apocalisse globale”.
Opium War è un film dai ritmi lenti, visivamente affascinante e con più di qualche scena esteticamente suggestiva. Purtroppo non raggiunge la stessa efficacia nel contenuto, che si perde in soluzioni narrative non sempre felici e in eccessivi simbolismi compiaciuti che rendono il finale poco chiaro e assolutamente privo di mordente. Il film infatti non prende mai una direzione chiara, sempre indeciso tra la vena surreale e la più diretta concretezza, e questa continua confusione lo rende inevitabilmente inafferrabile. Nonostante la bellissima parabola del vecchio capo del villaggio che fugge verso l’orizzonte in un volontario esilio dal mondo privo di umanità e onore, il film non coinvolge e ristagna in un vuoto che non viene mai riempito.
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Compiaciuto e poco organico, il film si salva solo per il personaggio più rassegnato allo squallore del mondo
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