Al suo secondo lungometraggio dopo l’esordio di The Forseken Land, vincitore nel 2005 della Camera d’Or a Cannes, il trentaduenne Vimukthi Jayasundara si presenta in concorso a Venezia con Between Two Worlds, ambiziosa ma sconclusionata pellicola a cavallo tra realtà e finzione, Storia e leggenda.
Sullo sfondo della guerra civile che sino a pochi mesi fa ha afflitto la popolazione cingalese, un giovane ragazzo, dopo essere letteralmente piombato dal cielo, scappa da una città per rifugiarsi nella strabiliante natura dello Sri Lanka, dove trova un bambino ed una giovane donna ad aspettarlo. Tra visioni, azioni totalmente ingiustificate sul piano narrativo e squarci di paesaggio da togliere il fiato, il film avanza stancamente verso una conclusione poco comprensibile di cui è difficile rendere conto.
Giocare con l’onirico e il surreale non è impresa semplice, soprattutto per un regista alle prime armi: nonostante proponga a tratti immagini stimolanti e movimenti di macchina interessanti (si vede che chi dirige ha un certo talento nella costruzione della messa in scena), l’impressione è che al film manchi del tutto una struttura di fondo capace di rendere godibile un’opera che purtroppo finisce per apparire campata per aria. L’ambizioso progetto di narrare la tragedia che ha segnato per ben sedici anni il proprio paese attraverso il registro fantastico, infatti, porta il giovane cineasta a perdere progressivamente il controllo del proprio lavoro. Molto pretenzioso, nonostante l’esigua durata (80 minuti) Between Two Worlds risulta davvero indigesto, non essendo mai in grado di stabilire un qualsiasi tipo di legame empatico con lo spettatore. Dopo Prince of Tears di Yonfan e White Material di Claire Denis, altro film decisamente inadeguato al contesto del concorso veneziano.
Quando le ambizioni si mangiano un film
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